Una delle stagioni più felici della storia europea, la Belle Époque, un nuovo linguaggio espressivo, lo “stile Mucha”, una grande figura allegorica: la donna.
Le violenze di Colonia, Amburgo e Bielefeld. Le minacce alle ragazze del calcio a 5 dello Sporting Locri. I casi di femminicidio. Paragonate all’ennesimo bollettino di guerra sulla condizione della donna in Italia (ed Europa), le opere di Alfons Mucha (1860-1939), in esposizione fino al 20 marzo a Palazzo Reale, appaiono un atto sovversivo.
La mostra Alfons Mucha e le atmosfere art nouveau, prima che colpirci per l’eleganza e il gusto che hanno contrassegnato un periodo di progresso e fermento intellettuale come la Belle Époque, ci restituisce la figura di un uomo capace di esaltare la femminilità in tutta la sua potenza evocativa.
Attraverso un nuovo codice espressivo – il tratto marcato per definire i contorni delle silhouette, il gioco di volumi tra vesti e acconciature, la cura nei dettagli dello sfondo e degli accessori – l’artista ceco lega le suggestioni dell’Art Nouveau all’immagine della donna, dalla sensualità esibita ma non esibizionista, dalla bellezza sussurrata più che urlata, seducente ma mai volgare. Lo “stile Mucha” esplode già nella prima sala del percorso espositivo – che si apre con il maestoso cartellone celebrativo per i sessant’anni di trono della Regina Vittoria d’Inghilterra – dove incontriamo il ciclo de Les Arts (Poesia, Musica, Danza, Pittura), che propone uno dei temi ricorrenti dell’attività di Mucha: la presenza di opere in successione, legate da un argomento comune, a comporre una vera e propria serie multi-soggetto.
Che l’esaltazione della femminilità sia uno dei tòpos in Mucha è chiaro anche nella sezione dedicata alla proficua collaborazione tra l’artista e l’attrice Sarah Bernhardt: per la “Divina” realizzerà i manifesti destinati a promuovere gli spettacoli teatrali che la vedono protagonista (da La Dame aux Camélias alla Médée) o le trionfali tournée americane. Mescolando elementi moderni e bizantinismi, sacro e profano, si delinea la cifra stilistica che caratterizzerà le successive produzioni.
Produzioni la cui originalità risiede nella versatilità d’applicazione dei soggetti, che di volta in volta si adattano a poster, decorazioni, illustrazioni, pubblicità. Come possiamo ammirare nella sezione “La vita quotidiana”, dove sono presenti diverse réclame realizzate da Mucha, in cui il prodotto è spesso il pretesto che permette all’artista di celebrare, ancora una volta, l’eterno femminino attraverso la fusione di molteplici elementi decorativi.
Accanto al nucleo principale della mostra, ovvero 120 tra affiches e pannelli decorativi tutti provenienti dalla Richard Fuxa Foundation, trovano spazio anche ceramiche, mobili, ferri battuti, vetri, sculture e disegni di altri esponenti dell’Art Nouveau: il loro dialogo con l’opera di Mucha offre un quadro esaustivo sugli stili e le ispirazioni del periodo. Che sono i canoni estetici classici, rinascimentali, preraffaeliti, nei quali la donna si trasfigura, per trasformarsi in una divinità angelica o un’allegoria.
Mentre scorrono le ultime opere del percorso espositivo, penso a quanto lo stile Mucha sia ancora attuale e d’ispirazione per generazioni di illustratori. Tra gli omaggi migliori, quelli del Sol Levante: linee marcate in opposizione alla sinuosità di forme e volumi dei capelli ricordano le illustrazioni di X delle CLAMP (noto collettivo giapponese di sceneggiatrici e disegnatrici di manga), oppure di Oh, mia Dea! di Kosuke Fujishima.
Alla luce dei fatti di cronaca a cui ci siamo dovuti purtroppo abituare, ammirare oggi l’opera di Alfons Mucha è come approdare su un’isola felice, fuori dal tempo. Un piccolo porto franco, popolato da uomini che non smettono di amare le donne.
Immagine di copertina: Les Arts (La Danza; La Musica, La Poesia), 1898 Litografia a colori, Richard Fuxa Foundation. Foto: © Richard Fuxa Foundation.