Fondazione Prada vs Mudec, archistar a confronto: Rem Koolhaas vs David Chipperfield. Ma ciò che fa la differenza, purtroppo, è ancora una volta: privato vs pubblico
Milano è in fermento. Negli ultimi anni la città ha vissuto uno sviluppo architettonico vivacissimo, come se ne sono visti pochi nelle metropoli europee. Si tratta di un processo che non interessa solo i grandi grattacieli che hanno sconvolto lo skyline della città e alla cui vista siamo ormai abituati, ma tocca anche l’ambito dell’edilizia culturale. Tra i tanti progetti di spazi espositivi che nell’ultimo periodo hanno visto la luce due emergono in particolar modo, emblematici di due modi radicalmente diversi di fare spazi destinati alla cultura: la nuova Fondazione Prada e il Mudec (MUseo DElle Culture).
Le differenze tra questi due musei partono dalla loro origine. Figlia di un’iniziativa privata del noto marchio di moda la prima e frutto di un’azione municipale la seconda. Come in innumerevoli altri casi, nel nostro Paese, la differenza tra realtà pubbliche e private è marcata. Basta guardare i tempi di costruzione: 7 anni per Prada (anche se in realtà il progetto non è completo, la fine dei lavori è prevista per il 2016) e 14 per Mudec.
Mudec è anche tristemente noto nell’ambiente architettonico per l’acerrima battaglia mediatica che si è scatenata tra l’architetto (David Chipperfield) e il Comune di Milano. Oggetto del conflitto è stata l’ostinazione dei rappresentanti della municipalità ad operare nella massima economia, sovvertendo alcune decisioni prese dagli architetti su questioni come materiali e tecniche di costruzione. Il risultato è un’opera architettonica di fattura piuttosto scarsa, con piastrelle posate male e calcestruzzi sporchi. Nel caso di Prada le finiture non sono state un problema, visto anche il rapporto di amicizia diretta tra architetto (Rem Koolhaas, e il suo studio OMA) e Miuccia Prada. Non sono state un problema perché non lo era nemmeno la disponibilità di denaro: ogni volta che qualcosa non soddisfaceva l’esigentissimo gusto della proprietà veniva cambiato. La curvatura di una volta è stata rifatta ben sette volte, perché la forma non era quella perfetta. Così come il famosissimo rivestimento dorato dell’edificio più iconico è stato sostituito tre volte perché le tecniche di applicazione non erano sufficienti a mantenerlo perfettamente in posizione in occasione di forti piogge.
Dal punto di vista dell’impianto i due spazi espositivi hanno molto in comune. Entrambi si insediano in uno spazio industriale in disuso, una distilleria per Prada e una fabbrica di acciai per Mudec. Mentre, però, la prima trova la sua ragione nella disposizione preesistente degli edifici minimizzando la nuova costruzione ed armonizzandosi col contesto, il secondo si pone all’interno del grande cortile dello spazio ex-Ansaldo come un volume indipendente, in parte autoreferenziato, con una propria identità e un’iconicità autonome rispetto alla ex-fabbrica. Entrambi gli spazi, comunque, sono concepiti come “cittadelle dell’arte”, con numerosi spazi destinati a laboratori didattici e biblioteche aperte al pubblico, potenziali incubatori di cultura per la città. Ma assai diverse sono state le reazioni dell’opinione pubblica. La Fondazione Prada ha entusiasmato con la sua elegante raffinatezza e il gusto squisito delle sue mostre. Mudec non è stato altrettanto fortunato: giudicato superfluo e approssimativo, è stato anche gambizzato mediaticamente.
Impossibile non apprezzare la nuova Fondazione Prada per via dell’indubbia efficacia spaziale ed estetica. Per il Mudec non resta che lasciare spazio a un’amara riflessione. È vero: le finiture fanno accapponare la pelle a chiunque, la costruzione è stata approssimativa. È vero: si tratta di un intervento abbastanza superfluo, seppur non inutile. Non è facile costruire qualcosa di efficace con finanziamenti completamente pubblici in questo paese, gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. Questa non vuole essere una scusante per un lavoro fatto alla spicciola; piuttosto una considerazione sul fatto che la gestione della costruzione pubblica non è affatto un lavoro semplice, costantemente sottoposta a una severissima revisione economica spesso impossibilitante. L’investimento nella cultura dovrebbe essere lungimirante e tentare, per quanto possibile, di conciliare qualità e strette logiche di bilancio. Occorre quindi una presa di coscienza su questo tema per poter smettere di avere amministrazioni preoccupate più del risvolto economico che del risultato finale della realizzazione, perché la gestione pubblica di queste realtà non sia più un “nonostante” ma un “grazie a”.
Fondazione Prada, Largo Isarco 2; Mudec, via Tortona 56
Immagine di copertina: Fondazione Prada-Mudec