Uguali a se stessi e a nessun altro: l’ultima fatica dei Mudhoney

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Mudhoney

Con il nuovo disco caldo caldo, la band grunge approda venerdì al Santeria. Ne sentiremo delle belle

Trent’anni di attività sono tantissimi per chiunque, in qualsiasi ambito. A maggior ragione lo sono per la band che, nata e cresciuta a Seattle, ha contribuito a fondare e a far crescere il movimento grunge e a esportarlo dallo stato di Washington  in tutto il mondo.

È festeggiando questo importante traguardo che i Mudhoney tornano in Italia con tre date – questa sera al Locomotiv Club a Bologna, domani al Largo di Roma, e venerdì in Santeria Social Club a Milano.

L’anniversario in realtà si estende a Mark Arm, il cantante e frontman: la sua avventura nel mondo della musica è iniziata infatti dieci anni prima, nel 1978. E a distanza di quarant’anni, sebbene con meno riconoscimento internazionale e con meno dischi venduti rispetto agli altri grandi della scena grunge – dai Nirvana ai Pearl Jam, passando per Soundgarden e Alice in Chains – i Mudhoney portano ancora a testa alta la loro musica e le loro atmosfere, senza mai rinunciare alla propria identità.

A Milano li vedremo appunto venerdì 23, in Santeria Social Club. O meglio, li vedranno i fortunati – o i previdenti – che hanno acquistato il biglietto, visto che i 4 hanno fatto registrare un sold out inaspettato ai più, forse, ma di certo meritato. E oltre a ripercorrere 30 anni di grunge, ci sarà spazio anche per sentire qualcosa dalla loro ultima fatica, Digital Garbage, uscito a fine settembre per la Sub Pop.

Un disco sicuramente più moderno, pieno di sfumature, ma fondamentalmente grunge fino al midollo. Un disco in cui la voce di Mark Arm sembra avere la stessa forza di quel lontano 1988. E sicuramente ha lo stesso sarcasmo tagliente e diretto che aveva colpito tutti, dai fan ai discografici, al momento dell’uscita di Touch Me, I’m Sick, il primissimo singolo del gruppo. Prendete ad esempio Kill Yourself Live: un brano in cui Arm canta il desiderio smodato di notorietà che assedia la nostra società, arrivando addirittura ad annunciare il suicidio in diretta pur di avere i propri famosi 15 minuti di fama (“Kill yourself live, do it for the likes”). E il video non è da meno: in una scena dei soldati romani inchiodano Cristo alla croce, ma non prima di essersi fatti un selfie con il crocifisso.

Già dal titolo del disco si capisce infatti qual è il bersaglio principale della critica sempre tagliente della band: la rete, i social e tutta quella parata di fenomeni che nascono e crescono grazie al web, arrivando fino a posizioni di rilevanza assoluta che purtroppo conosciamo bene.

E per affrontare un tema come questo, non potevano che esserci tutti i marchi di fabbrica della band: chitarre e riff graffianti, sia di Mark che di Scott Turner, che conferiscono un’atmosfera punk a molti dei pezzi, il basso martellante di Guy Maddison e una batteria sempre aggressiva e senza fronzoli, macchina precisa e implacabile guidata da Dan Peters. E poi ovviamente c’è la voce di Mark Arm, che, probabilmente a ragione, non cerca mai di suonare diversa da se stessa, né nelle soluzioni melodiche né nell’intensità. Ma del resto è proprio grazie a questa formula che i Mudhoney sono rimasti così a lungo in giro: uguali a se stessi, uguali a nessun altro.

Una nota speciale per il gruppo spalla, i Please The Trees. Arrivano dalla Repubblica Ceca, e prima ancora che per la loro musica sono famosi per un progetto semplice, ma di grande valore: la band infatti pianta un albero in ogni città in cui suona.

Mudhoney Digital Garbage  (Sub Pop)

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