Al Pirelli HangarBicocca è in scena la prima grande retrospettiva italiana, curata da Roberta Tenconi, dedicata al fantasmagorico artista americano Matt Mullican. Micola Brambilla l’ha visitata per noi.
L’impulso archivistico di cui parlava Hal Foster nel suo celebre saggio (An Archival Impulse, 2004), quale paradigma di una nuova ricerca artistica e gesto per la creazione di una conoscenza alternativa che si colloca nello spazio intermedio tra realtà e finzione, tra pubblico e privato, echeggia come riferimento quando si percorre l’immenso spazio tra le due estremità della Piazza e del Cubo di Pirelli HangarBicocca. Qui l’artista californiano Matt Mullican (Santa Monica, 1951) ha dato forma al più grande allestimento-archivio della sua produzione decennale.
Se l’ossessione compulsiva di catalogare il mondo, ordinandolo e disciplinandolo all’interno di un sistema e di categorie definite si potrebbe dire culmini oggi nell’uso dei nostri smartphone, capaci di contenere informazioni per quantità e qualità superiori a qualsiasi altro pezzo di hardware, la mostra di Matt Mullican potrebbe essere vista come allusione concreta proprio a queste estensioni digitali del nostro cervello.
The Feeling of Things, curata da Roberta Tenconi, è una mostra-arcipelago, in cui le centinaia di opere che la compongono esistono autonomamente fungendo però da punti di snodo di un unico articolato sistema da osservare nel suo insieme, come una mappa composta di infiniti punti. Mullican si sofferma, infatti, proprio sulla possibilità di mappare la realtà attraverso la codificazione di un sistema fatto di frasi, immagini, simboli e colori con l’obbiettivo di esplorare la percezione umana del mondo, ma allo stesso tempo di creare una narrazione personale fondata soprattutto sull’immaginazione.
Lavorando fin dagli esordi nell’ambito della performance, dell’installazione e della tecnologia digitale con l’utilizzo pionieristico del computer e della realtà virtuale, Matt Mullican sviluppa a partire dagli anni Settanta un modello cosmologico che combina oggetti e simboli con lo scopo di analizzare il rapporto tra la realtà oggettiva e la nostra percezione di essa.
La complessa cosmologia dei “cinque mondi” messa a punto dall’artista, in cui vari colori e simboli corrispondono a un diverso livello di percezione, si articola nello spazio centrale delle Navate. All’interno di una struttura labirintica che espande in scala colossale lo schema architettonico pensato originariamente per l’opera The M.I.T. Project (1990), Mullican dispone una collezione imponente di oggetti e di proprie opere, suddividendoli in cinque macro aree che esemplificano il suo sistema di pensiero.
Le linee guida della cosmologia di Mullican sono enunciate da quattro banner colorati (Untitled, 1990) che accolgono lo spettatore all’ingresso della mostra. Ogni colore, associato a una serie di pittogrammi, rappresenta un settore riconducibile alla nostra comprensione dell’universo: verde per gli elementi fisici e la materia; blu per la vita quotidiana; giallo per elementi che acquistano valore attraverso la cultura e la scienza; nero per il linguaggio e i segni; rosso per la soggettività e le idee.
Oltre alla cartografia, la pratica dell’ipnosi costituisce una delle principali modalità di funzionamento dell’universo di Mullican. In mostra all’interno dell’area rossa, dedicata alla comprensione soggettiva, spiccano le opere legate alla figura di That Person, entità indefinita, senza sesso né età, alter ego dell’artista, che emerge durante le performance in stato di ipnosi. Nella condizione di trance indotta, l’artista si confronta con la parte più profonda della propria psiche e con il proprio inconscio, aggiungendo, attraverso una strategia di rottura degli schemi quotidiani, un altro livello al costante tentativo di definizione soggettiva del reale.
In mostra la realtà di That Person è documentata attraverso un’opera labirintica fatta di grandi lenzuoli bianchi in cui un fitto incrocio di disegni, testi e numeri disegnati sotto ipnosi funge da diagramma della realtà vissuta dall’alter ego dell’artista. E’ così che Mullican sposta di nuovo l’attenzione sull’esistenza di mondi paralleli, in cui la distinzione tra subconscio, follia e razionalità sembra essere messa in discussione.
In una prospettiva, che combina l’esperienza della realtà con il sistema dell’archivio, la mostra affianca opere storiche a nuove produzioni e, grazie all’allestimento denso in cui stendardi, disegni, fotografie, video, sculture e oggetti presi a prestito danno vita a un percorso labirintico, intraprende l’impresa enciclopedica e impossibile di racchiudere la totalità del mondo e della sua rappresentazione. Gli oltre seimila oggetti contenuti nei cinquemila metri quadrati di Hangar Bicocca ricordano così come “l’impulso archivistico” risieda proprio nel tentativo di evidenziare la natura intrinseca dell’archivio, come reale e fittizio, pubblico e privato allo stesso tempo, e, nel caso di Mullican, come sistema capace di dare forma concreta alla mente e al pensiero di un artista, in tutta la sua intricata e disorientante complessità.
Immagine di copertina: Matt Mullican, The Feeling of Things, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2018. Courtesy dell’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto: Agostino Osio