Accade ad Assago Forum dove la band, scatenata più che mai, utilizza i celebri e controversi velivoli telecomandati come metafora pacifista
I miei primi concerti dei Muse risalgono al lontano 2007, quando la band cominciava ad abituarsi al successo internazionale, suonando per la prima volta in carriera allo stadio di Wembley. A quei concerti, io ero di gran lunga la più piccola nel parterre, trovandomi a spiegare ai compagni di coda trentenni il perché del mio precoce amore per una band che sembrava a loro troppo complicata e raffinata per una quindicenne.
Mentre mi siedo in coda per la stessa band il 14 maggio 2016 a Milano, prima delle sei date dedicate al pubblico italiano al Forum di Assago nel Drones World Tour, ragiono che le cose si sono evolute parecchio da quei tempi: i Muse sono ora talmente enormi da mandare sold out sei date ad Assago, facendo numeri simili nei palazzetti di svariate città europee nonché del mondo – e io mi sento vecchia vedendo i ragazzi che in coda ripassano per le interrogazioni del liceo.
Nel frattempo, l’approccio della band alla dimensione dal vivo non è cambiato, ed è stato proprio questo, secondo me, il veicolo di gran parte del loro successo: sempre pensando in grande, sempre spingendosi oltre il limite del possibile, rendendo con grandiosità di visione ciò che in studio sembra solo un’idea, i Muse hanno conquistato i loro fan un concerto alla volta. In tutti questi anni non ho mai perso un’occasione di vederli dal vivo, perché ogni volta sono sicura di rimanere stupita ed estasiata, a livello musicale e intellettuale, con la voglia di ballare fino a non sentire più i muscoli del collo, e di assistere a uno show diverso ogni sera.
È stato assolutamente così anche il 14 e 15 maggio. Chiunque li abbia visti dal vivo sa che i Muse raggiungono il loro apice nella dimensione live, portando al massimo la loro potenza rock sviluppando i temi spesso politico-psicologici del loro lavoro in studio in esperienze artisticamente coinvolgenti per il pubblico.
Con ogni tour si sono espansi concettualmente, e il Drones World Tour è il progetto più ambizioso che abbiano realizzato sinora: il palco a 360 gradi, che rotea su se stesso per garantire la visione da tutti gli angoli della platea, e le proiezioni di immagini interattive su tele trasparenti e maxischermi, che coinvolgono dal primo all’ultimo spettatore, trasformando la loro musica da concetto a teatro. E poi ci sono i droni che sorvolano il pubblico per l’apertura dello show, vuoti, di trasparente leggerezza – forse a voler sottolineare l’incosciente leggerezza con cui vengono usati nel mondo reale – e la truppa di uomini vestiti alla stormtroopers che marcia davanti alla prima fila fissando per un secondo i fan negli occhi armati di torcia.
Se Drones è un concept album sull’ascesa della guerra con uso di droni, lo show che lo accompagna trasforma la storia in immagini surreali, tra l’insensibilità della guerra remota all’auspicata rinascita, rivoluzione e riscoperta dell’amore.
Grazie anche a una band di supporto ottima e dalla presenza scenica non poco adrenalinica, gli olandesi De Staat, lo show è una scarica di energia inesauribile, che spinge al massimo il volume, l’intensità, l’emozione. Psycho, primo singolo da Drones, è un concentrato di energia sotto forma di chitarre e ritmi marziali che fanno tremare il palazzetto. Reapers, sempre dall’ultimo album, continua a far crescere l’adrenalina del pubblico con la sua energia alla Rage Against the Machine combinata ai cori surreali del bassista Chris.
La chiave fondamentale del successo dello show è la maestria con cui i Muse collegano quasi 20 anni di repertorio in uno show pur sempre tematico: l’ultimo concept album viene sposato benissimo con pezzi di ispirazione elettronica come Isolated System (da The Second Law) e Take a Bow (Black Holes & Revelations), così come pezzi pop da stadio come Resistance (The Resistance) e Starlight (BH&R). I Muse sanno di avere fan di svariate generazioni, e accontentano tutti cambiando la scaletta ogni sera e alternando pezzi degli ultimi album ai classici preferiti dai fan di vecchia data, come la Citizen Erased che fa impazzire il pubblico della prima sera.
Anche con un piede fratturato, Matt Bellamy salta e corre sul palco senza mai fermarsi, e la sua energia pulsa in ogni minuto dello show. La forma del palco, un grande cerchio che si apre in due passerelle che culminano in due mini palchi, offre opportunità alla band di mostrare la loro multi-strumentalità e il loro gusto per la performance: un piano si erge come dal nulla, permettendo a Bellamy di suonare la fine di Citizen Erased, la prima sera, o Feeling Good la seconda, prima di venire risucchiato a fine canzone, portando con sé il frontman che sparisce per qualche secondo di scena. Nel frattempo, su pezzi come The Handler e Dead Inside, dei teli giganti calano sulle passerelle facendo da schermo per le grandiose grafiche realizzate per suggerire la storia delle canzoni, tra inquietudine e liberazione.
Sotto le sceneggiature, le visuali, e le dimensioni politiche della loro musica, i Muse rimangono tre ragazzi che sanno fare rumore per dieci, che sanno vedere connessioni musicali dove nessun altro potrebbe, e che non hanno paura della grandiosità del loro sound. I loro sono più che semplici concerti, sono esperienze capaci di trasportare lo spettatore in un altro universo. Siamo molto fortunati ad avere questo universo materializzato nella periferia di Milano per un’intera settimana.
Muse, Drones World Tour, Mediolanum Forum di Assago (14,15,17,18,20,21 maggio)