Da “The Notorious Byrd Brothers” all’epocale “Beggars banquet” la playlist che ha cambiato il mondo
Formidabile quell’anno? Ma sì, niente male, però il 1967 e il 1969 erano meglio. Stiamo parlando del ’68 in musica. Anno di “gioia e rivoluzione”, e di molto disimpegno: c’è Street fighting man dei Rolling Stones, il combattente di strada, ma anche tu mi fai girar, tu mi fai girar come fossi una bambola di Patty Pravo. Cose così, insomma. Volete farvi un’idea delle musiche in quell’anno di rivolte? Eccovi la colonna sonora.
Si comincia il 3 gennaio con i Byrds. I primi “elettrificatori” di Bob Dylan (nel 1965, con una versione di Mr. Tambourine man che fece epoca), privi ormai di Gene Clark e David Crosby, inaugurano il 1968 con un disco sottovalutato ma assai bello, The Notorious Byrd Brothers, zeppo di umori psichedelici. Cambieranno rotta, in capo a qualche mese, con Sweetheart of the rodeo, pietra miliare del country-rock.
Una settimana dopo, l’11, Jimi Hendrix – il 1968 gli si addice – prende casa a Londra, nel palazzo in cui due secoli prima Handel compose il Messiah. Nel corso dell’anno gli daranno il diploma ad honorem a Seattle, nella scuola che ha abbandonato a 14 anni, e scalerà le classifiche degli album (Electric Ladyland) e dei singoli (Crosstown traffic), oltre a impazzare in radio con una squassante rilettura di All along the watchtower di Bob Dylan.
A proposito, Bob Dylan. Che fine ha fatto? Ritorna in pubblico per la prima volta il 20 gennaio, dopo il misterioso incidente di moto che lo ha tenuto lontano dalle scene per due anni, per una serata in onore di Woody Guthrie alla Carnegie Hall (canta fra le altre Dear Mrs. Roosevelt). Nello stesso anno pubblica lo scarno John Wesley Harding, che tra gli accenti visionari riesce a infilare una dolcissima canzone d’amore, I’ll be your baby tonight.
Intanto, e siamo solo al 24 gennaio, va al primo posto in Inghilterra The ballad of Bonnie and Clyde di Georgie Fame (Gangster story, il film di Arthur Penn a cui si ispira, è del 1967).
E intanto, dall’1 al 3 febbraio, in Italia c’è Sanremo: vince Sergio Endrigo con la bella e civilissima Canzone per te che parla della fine di un amore (“la solitudine che tu mi hai regalato io la coltivo come un fiore”: andrebbe riascoltata, in tempi di femminicidi), ci sono Lucio Battisti con Wilson Pickett (Un’avventura), Antoine che per il pizzo di una sottana perde sempre la tramontana, soprattutto l’ esilarante Louis Armstrong di Mi va di cantare: gli hanno offerto 15mila dollari, la cifra che gli serviva per rifarsi la dentiera.
Il 3 febbraio i Beatles registrano Lady Madonna, il 16 volano in India in modalità mistica, l’11 settembre Hey Jude, sette minuti e venti secondi, è la canzone più lunga di sempre a volare al primo posto in classifica (sull’altra sponda dell’oceano riusciranno a fare di meglio gli Iron Butterfly con In-a-gadda-da-vida, ben diciassette minuti), il 22 novembre esce il doppio The Beatles, che tutti chiamano “l’album bianco”: belle canzoni, è riuscito a scriverne una persino Ringo Starr, ma i quattro hanno lavorato separati. Arrivano anche i progetti solisti: Wonderwall di George Harrison, Two virgins di John Lennon e Yoko Ono. Oggi si fa fatica a riascoltarli.
Anno di esordi, il 1968. È la prima volta per i Deep Purple (Hush), per i Genesis (The silent sun), per i Nice (The thoughts of Emerlist Davjack), per Elton John (I’ve been loving you), per i Blood Sweat & Tears, per Joni Mitchell (Song to a seagull), per la Band (Music from Big Pink), per gli Mc5 di Fred Sonic Smith futuro marito di Patti (Kick out the jams), per Neil Young solista, per James Taylor e per gli Hot Tuna nati da una costola dei Jefferson Airplane. E anno di addii. Si sciolgono gli Yardbirds di Jimmy Page (i Led Zeppelin sono alle porte), i Cream di Eric Clapton, gli Animals di Eric Burdon e i Buffalo Springfield.
Anno di conferme luminose, il 1968. Di Jimi Hendrix abbiamo già detto. Decollano i Pink Floyd, anche se abbandona il 6 aprile il geniale e stralunato Syd Barrett, devastato dalle droghe. Non può più salire sul palco, vivrà quasi prigioniero a casa della madre, lo sostituisce David Gilmour. L’album che li lancia, il loro secondo, è A saucerful of secrets, il singolo è Careful with that axe, Eugene: colpirà Michelangelo Antonioni, che lo sceglierà per chiudere Zabriskie Point. Qualche anno dopo, nel 1970, scriveranno una Summer 68 che verrà per così dire “citata” da Fabrizio DeAndré (Fiume Sand Creek).
Ma si impone anche il sarcastico e affilato Frank Zappa, che il 4 marzo fa uscire We’re only in it for the money, con la copertina che è una parodia velenosa del beatlesiano Sgt. Pepper. Nello stesso anno, fra stupid songs ed esperimenti, Frank licenzierà altri due gioielli, Lumpy gravy e Cruising with Ruben & The Jets. È successo pieno per i Doors di Jim Morrison, primi negli Usa con Hello I love you, per i Fleetwood Mac ancora inglesi e bluesy (Black magic woman), soprattutto per i Rolling Stones la cui Street fighting man viene bandita dalle radio americane nel timore che possa fomentare disordini. Il 2 dicembre l’epocale Beggars banquet, l’album di Sympathy for the devil, ribadirà la loro grandezza.
E in Italia? Da noi, Sanremo a parte, è il trionfo dei juke-box, che sono 33mila, uno ogni 1700 abitanti. Le canzoni più ascoltate dell’annata sono La bambola di Patty Pravo, L’ora dell’amore dei Camaleonti, Ho scritto t’amo sulla sabbia di Franco IV e Franco I, Azzurro di Adriano Celentano (ma l’ha scritta Paolo Conte) e Vengo anch’io? No, tu no di Enzo Jannacci. Tra le straniere, nei juke-box impazza la bubblegum music degli Ohio Express (Yummy Yummy Yummy ) e dei 1910 Fruitgum Co. (Simon says).
In quell’anno di rivolte, la pattuglietta gloriosa del Nuovo Canzoniere Italiano tiene alta la fiaccola della canzone politica. Con Paolo Pietrangeli (Valle Giulia), Ivan Della Mea & Paolo Ciarchi (Piccolo uomo) e Rudi Assuntino (La rossa provvidenza).
Ma la canzone più sovversiva, vietatissima e perciò vendutissima, è Je t’aime… moi non plus che Serge Gainsbourg aveva scritto per interpretarla con Brigitte Bardot e, al suo rifiuto, aveva inciso con la giovane inglese Jane Birkin, con tanto di gemiti e mugolii. Ma Gainsbourg, diavolo di un uomo,non aveva fatto il ’68. Se glielo avessero chiesto, avrebbe risposto che preferiva il 69.