Novità, vecchie glorie e inediti preziosi questa settimana: dal nuovo Baustelle a Lennon&Yoko Ono, dal romano Giancane (felice scoperta) ai reperti sempre interessanti di Charlie Parker
Baustelle – Il vangelo di Giovanni/ Amanda Lear/ L’era dell’acquario
Ritornano i Baustelle, a tre anni dal gonfio e orchestrale Fantasma, a sei dall’arduo I mistici dell’Occidente. Ritornano con un album “oscenamente pop” (Francesco Bianconi dixit) come L’amore e la violenza (****), che fa storcere il naso e scatena il livore fondamentalista dello zoccolo duro e puro dei fan. A me la band di Montepulciano pare una carta da tornasole come gli asfittici dibattiti sulla sinistra: che o è radical che più radical non si può, capace di dire soltanto no, oppure non è. I Baustelle non sono radical, non lo sono mai stati: come ogni serio progetto, anche musicale, sono freddi e non gettano il cuore oltre l’ostacolo, sono citazionisti, a volte criptici (qui meno che in passato), a volte estetizzanti (come un altro grande di oggi, Paolo Sorrentino, lo è al cinema), lavorano di collage e di frammenti, nelle musiche e nei testi. Eppure in questo disco, nelle canzoni spesso a presa rapida (strofa e ritornello, che oltraggio), nei punti saldi del loro suono che sono i rimandi a Franco Battiato (secondo me anche a De Gregori, si ascolti Ragazzina) e all’electro analogico degli anni ’70 (in Basso e batteria c’è persino una citazione di Sandokan degli Oliver Onions), nel microsampling di batteria, nel canto enfatico di Bianconi e in quello freddo e conturbante di Rachele Bastreghi, vanno in scena il nostro tempo confuso e le nostre vite sotto assedio, con tutti i parafernalia del caso. A me viene da applaudire, chi cerca purezza e sentimenti violenti può ripiegare sui nostri rapper o sui fantasmi della canzone d’autore.
Weyes Blood – Do you need my love/ Away above
Immaginate Enya che ingaggia i Doors per farsi accompagnare. Immaginate le dolci melodie folk con echi celtici piegate da un’elettronica sotto traccia a dare conto del vuoto. Immaginate una tranquilla apocalisse in jeans e scarpe da tennis. Lei è Natalie Meyers di Santa Monica, California, 28 anni, aka Weyes Blood (il nome d’arte adatta un capolavoro del gotico americano, Wise blood di Flannery O’Connor), figlia e nipote di cristiani rinati e ribelle fin dall’adolescenza ai comfort della religione. In Front row seat to the Earth (****) intona canzoni di vuoto sentimentale (“Hai bisogno di qualcuno? Hai bisogno del mio amore?”, Do you need my love), di solitudine e spaesamento (“Sono stata appesa/ al telefono tutto il giorno/ e la paura sparisce/ Non è il passato/ che mi spaventa/ Che grande futuro/ abbiamo davanti”, Generation why). Straniante, notevole.
John Lennon & Yoko Ono – Remember love/ Baby’s heartbeat/ Why
Altro che essere John Malkovich, essere Yoko Ono è stato immensamente più difficile. La sfasciafamiglie musicali, la donna che stando a una vulgata misogina mise fine al più grande gruppo di sempre, torna con i primi tre album realizzati con John Lennon, nell’ambito dello “Yoko Ono reissue project” curato dal figlio Sean Lennon. Del primo, Unfinished music – Two virgins del 1968, con i Beatles ancora esistenti, è celebre soprattutto la copertina che mostra John e Yoko nudi in uno dei primi full frontal di sempre. Ne ho tratto la ninna nanna quasi infantile Remember love, a suo tempo lanciata anche da un singolo che godette di qualche popolarità. Il secondo, Unfinished music n. 2 – Life with the lions, del 1969, è dominato dal “primal scream” dello psicoterapeuta Arthur Janov, che invitava i pazienti a urlare esprimendo i sentimenti repressi: e Yoko ulula a lungo in Cambridge 1969, oppure ripete per cinque minuti di fila Why, perché, accompagnata da Charlie Haden e Ornette Coleman, quando non esibisce un reperto agghiacciante, il battito cardiaco del loro figlio mai nato. Plastic Ono Band del 1970, con il suo sound grezzo e quasi pre-punk, è in qualche modo un ritorno all’ordine. Musica difficile e non di rado velleitaria, difficile da classificare. Utile testimonianza, però, di un periodo fervido in cui si cercava di andare oltre la forma-canzone.
Il Giardino Armonico – L’isola disabitata (Overture)/ Aria “Solo e pensoso” di Franz Joseph Haydn
Progetto di lunga lena quello di Giovanni Antonini e dell’ensemble che dirige, Il Giardino Armonico, fondato a Milano nel 1985 e specializzato in musica antica e barocca: la pubblicazione, fine del lavoro prevista nel 2032, dell’integrale delle Sinfonie di Franz Joseph Haydn, ordinate non in base a una scansione cronologica ma secondo affinità tematiche. Questo Solo e pensoso (****, aria dedicata a un sonetto tra i più belli e famosi di Francesco Petrarca, qui interpretata dalla soprano Francesca Aspromonte), terzo volume dell’integrale, si concentra sulla malinconia e sull’introversione. Nel mazzo, oltre all’overture dell’Isola disabitata, le Sinfonie 4, 42 e 64. Esecuzioni raffinate, rigorose e al tempo stesso dense di invenzioni, destinate a fare scuola.
Romare – All night/ Come close to me
Il londinese Archie Fairhurst in arte Romare fa da anni musica elettronica di confine: abbastanza diretta e da club per andare dritta al corpo, abbastanza misurata e raffinata, con piccole e sagge dosi di asprezza, per non essere di largo consumo. Questo Love songs: part two (***1/2), con le sue ritmiche sinuose e soltanto in apparenza ripetitive, i suoi bassi e i suoi sampling, è un buon esempio di mix tra un groove che recupera e trasfigura funky e soul, e una forte fascinazione per l’afrobeat degli anni ’70, quello per intenderci del non dimenticato Fela Kuti.
Glen Hansard – Wedding ring/McCormack’s wall/ Lowly deserter
Glen Hansard, 45 anni, irlandese di Dublino, l’ho ascoltato per la prima volta nella soundtrack quel capolavoro che è I’m not here (2007), film visionario di Todd Haynes su Bob Dylan: lì cantava assieme alla musicista e attrice ceca Marketa Irglova. Cantante e attore, Hansard ha ottenuto un Oscar con Once, e ora presenta il suo secondo album solista, Didn’t he ramble (****). Niente di nuovo sotto il sole, ma un songwriting intimo e raffinato, che mette d’accordo l’America non immemore delle radici (certe canzoni non avrebbero sfigurato nelle Seeger sessions di Bruce Springsteen) e l’Irlanda di Van Morrison. Una bella conferma.
Dik Dik – Sulla nuvola/ Vendo casa
Qui in Italia, tra i gruppi superstiti del beat anni ’60, è un gran festeggiare il mezzo secolo di carriera. Lo hanno fatto i Pooh con il loro lungo addio, i Nomadi con l’ennesima antologia, i Dik Dik con il doppio Dik Dik 50… il sogno continua (***). Li segnalo più per affetto che per staordinaria qualità, perché i loro classici reincisi non valgono le versioni originali, i due inediti sono piuttosto anodini e l’omaggio dei colleghi (nel secondo cd: Elio, Ridillo, Zampaglione e altri) lascia il tempo che trova. Si poteva fare di più.
Giancane – Hogan blu/ Ma tu no/ Riderà
Da Roma vengono un sacco di belle cose. Per esempio Giancarlo Barbati, 21anni, chitarrista di Il Muro del Pianto e ora anche (non) cantautore in proprio con l’urticante e autoironico Una vita al top (****). Se ci sono tracce di vita in quel che resta della canzone d’autore, Giancane con il suo “country neomelodico”, la sua avversione per le Hogan blu, le sue canzoni precise come un bisturi, le sue vite di merda e la sua venerazione per il Vasco Rossi di Lunedì, il suo mood da Zerocalcare, è una di queste. Amore a prima vista, bravo bravo.
Christian Tetzlaff & Lars Vogt – Sonate per violino di Johannes Brahms
Tedesco, classe 1966, Christian Tetzlaff è un violinista tanto acclamato quanto discusso. Acclamato per l’incisione delle Sonate e partite per violino solo di Bach (2007) e per i Trii di Schiuman (2012, Gramophone Award), discusso per l’uso di un volino contemporaneo che ha sostituito lo Stradivari suonato in gioventù, e per lo stile antiretorico che evita sonorità piene e “liriche” e che spesso lo ha esposto a critiche, diciamo, di approccio anaffettivo alle musiche suonate. La smentita arriva con questo eccellente Violin sonatas di Johannes Brahms (****1/2) inciso con il pianista e connazionale Lars Vogt (i due avevano già affrontato assieme Mozart). Opere della tarda maturità di Brahms, le Sonate nella lettura di Tetzlaff e Vogt rifulgono di una luce quieta che smussa i turgori tardo-romantici.
Luigi Bruno & Mediterranean Psychedelic Orkestra – Surfinitka/ Ayo ne ne
Il salentino Luigi Bruno, con la sua chitarra elettrica e la sua Mediterranean Psychedelic Orkestra, sembra un protagonista di Ritorno al futuro, restituito ai nostri climi cinici dagli anni ’70 di Carlos Santana, della world music e delle contaminazioni. Il suo Assud vol. 1 (***1/2) non inventa niente, ma ci regala calor bianco e coinvolgimento, tra fusion, pizzica tarantata, Nordafrica & molto altro.
Frankie Cosmos – If I had a dog/ Sinister
La deliziosa Frankie Cosmos, 23 anni a marzo, si chiama in realtà Greta Kline ed è la talentuosa figlia di Kevin Kline e Phoebe Cates. Esordiente a vent’anni con Zentropy, album dell’anno per il New York Magazine, si conferma con questo Next thing (****), musicista laconica e stringata (quindici canzoni in circa mezz’ora di album), di marcati accenti anti-folk.
Dolly Parton – Linda Ronstadt – Emmylou Harris/ To know him is to love him/ Those memories of you/ After the gold rush
Tre golden ladies del country americano, un’antologia splendida (****1/2), anche se con qualche omissione, che raccoglie i loro album del 1987 e del 1999. Che da tre temperamenti così diversi e da una musica sempre sul filo del kitsch possa venire un risultato molto vicino al sublime è uno dei grandi misteri del pop, ma tant’è.
Sade Farida Mangiaracina – La terra dei ciclopi/ Capaci/ Ballarò
Sade Farida Mangiaracina, siciliana di Castelvetrano, pianista jazz, sbarca negli Stati Uniti registrando questo La terra dei ciclopi (***1/2) per la Inner Circle Music di Greg Osby. Suoni pieni e cantabili per un’artista cresciuta con i Beatles, Chick Corea e Pat Metheny. La via siciliana al jazz, con un vibrante omaggio ai magistrati e ai poliziotti uccisi nella strage mafiosa di Capaci.
Acid Arab – Buzq blues/ La hafia/ Le disco
Club culture più suoni orientali, dall’Algeria al Libano. È la miscela irresistibile degli Acid Arab, un nome un programma, duo francese composto da Guido Minisky e Hervé Carvalho (negli appuntamenti live sono un trio, con il tastierista algerino Kenzi Bourros). Musique de France (****1/2), con la sua trance & dance dalle speziature insolite, è uno dei testimonial possibili (gran bel testimonial) della convivenza e dell’integrazione.
Charlie Parker – Tico tico/ Night and day/ What is this thing called love
Incredibile che esistano inediti di Charlie Parker a sessant’anni e passa dalla morte del genio del be bop, ma così è. La Verve con il doppio The unheard Bird (*****) offre ben 58 takes, con pezzi incompleti, false partenze e alternate takes. Avendo l’accortezza di dare, per ogni brano, la versione definitiva. Forse non il disco più adatto per chi si avvicina a Bird, ma una festa per chi lo conosce e lo ama.