«Don’t you want more than my sex?»

In Musica

Tori Amos, Aretha Franklin, Tracy Chapman, Joan Baez, Patti Smith: sono solo alcune delle figure femminili che hanno cambiato il panorama musicale rivendicando i diritti delle donne

«Don’t you want more than my sex?», è un verso del primo album di Tori Amos (Little Earthquakes, 1992), cantautrice e pianista statunitense tra i simboli femminili del rock. Se gli uomini e la società non volessero altro che il loro sesso è un dubbio che le donne hanno coltivato per secoli. Si sono chieste spesso quale fosse il loro ruolo sociale, quello del loro sesso, trovando soluzione soprattutto attraverso un movimento culturale, quello che ha cambiato le sorti delle donne con il processo di emancipazione che si è sviluppato nel novecento. La musica è stata parte di questo processo e le figure femminili che hanno cambiato il panorama musicale non stanno tutte in questa pagina. Oggi, nel giorno dedicato alla donna, in cui pure credo poco, ripercorriamo alcune tappe di un’evoluzione musicale che ha accompagnato quella femminile, attraverso l’espressione di riscatto e di talento.

Leggete la storia dell’album e ascoltate il concerto del 2012 di Tori Amos, filmato per NPR Music (la National Public Radio statunitense). Inizia proprio con il brano Leather.

La storia si apre agli inizi del ‘900 con la musica scritta o eseguita da donne. Da episodi quali quello di Nannerl Mozart, talentuosa sorella del più celebre Wolfang Amadeus il cui genio è stato sacrificato per il successo del fratello maschio, si arriva presto, passando per compositrici rimaste pressoché ignote (le italiane Francesca Caccini, Barbara Strozzi, Sulpitia Cesis), alla riscoperta del femminile grazie al canto lirico: da Amelita Galli-Curci (Sempre Libera da La Traviata – Sempre libera degg’io/folleggiare di gioia in gioia) fino a Maria Callas (Casta diva da Norma). Mentre dall’altra parte dell’oceano nascono le cantanti jazz che fanno la storia non solo dell’emancipazione femminile ma anche della musica nera. Da Ella Fitzgerald, che cresce ad Harlem (New York) e debutta allo storico Apollo Theatre, cresce una generazione di esecutrici nere che lottano spesso per i loro diritti (vedi alla voce Aretha Franklin, che ultimamente abbiamo visto esibirsi per il Presidente Obama e sua moglie).

Qui un esempio di televisione del 1963 in cui è parodiato il brano Three little maids (Tre piccole domestiche) del musical del 1902. Con Ella Fitzgerald, la soprano Joan Sutherland e la cantante pop Dinah Shore. 

Anche Etta James si scatena nella tv degli anni sessanta, mentre tutti ricordiamo Aretha Franklin nella scena dei Blues Brothers in cui canta Respect.

 

Oggi nel jazz anche le musiciste hanno visibilità, non più esclusivamente le cantanti. La clarinettista Anat Cohen, israeliana di nascita e ora New York-based, è un virtuoso esempio.

 

E dopo l’affermazione nel jazz (Lindsay Cooper fonda anche un Feminist Improvising Group), il rock degli anni settanta include un movimento femminista e non conta più le donne che partecipano alla rivoluzione della scena musicale moderna, molte impegnate politicamente. Le icone di questi anni sono Joan Baez, Janis Joplin, Yoko Ono, e poi Nico (The Velvet Underground), Stevie Nicks, Carole King, e la più giovane Tracy Chapman. Dalla rivoluzione politica si passa alla rivoluzione compositiva e poi a quella discografica, della produzione e della commercializzazione della musica. Se è stata Patti Smith a reinterpretare e ribaltare gli schemi del rock, sappiamo bene che sarà invece Madonna a cambiare il panorama pop e a renderlo immagine.

Qui Joan Baez esprime i suoi dubbi sul valore del matrimonio, in un pezzo dallo stampo femminista suonato per la serie di concerti della BBC.

 

Tracy Chapman racconta la storia (le storie) di matrimoni pericolosi, per la donna, nell’ambiente domestico, in una esecuzione da brividi di Behind the wall.

 

Uno dei video migliori di Madonna, Vogue, in cui lei canta “It makes no difference if/you're black or white/If you're a boy or a girl/If the music's pumping it will give you new life”. E il video del 2015 in cui ribadisce il concetto di potersi concedere tutto, perché Bitch, I’m Madonna.

 

E da questo momento le differenze di genere iniziano a dissolversi concretamente anche in ambito musicale. Le donne diventano protagoniste e sul palco hanno una presenza scenica a cui l’uomo non aveva mai pensato. Madonna ha generato “mostri” come Beyoncé, Rihanna, Lady Gaga, Katy Perry.

L’esibizione di Beyoncè in Crazy in love è un esempio di spettacolo di derivazione “Madonniana”.

 

Katy Perry canta in duetto con la conduttrice televisiva statunitense Ellen DeGeneres, che gioca sulla sua omosessualità, come spesso fa, sdoganando il bacio tra donne.

 

Mentre gli ambienti del rock, del soul, del jazz, hanno dato vita alla musica di Florence (Florence + The Machine) – qui sotto proprio in un festival di derivazione woodstockiana, il Glastonbury Festival -, Amy Winehouse, Adele. Donne che hanno fatto del loro carisma la propria carriera.

Florence al Glastonbury Festival nel suo capolavoro Dog days are over.

 

Amy Winehouse in un estratto del documentario postumo Amy, mentre incide in studio Back to black.

 

Adele qui sta uscendo dal suo “guscio”, dopo Chasing pavements, passa alla storia con Someone like you, e la porta a un Tiny desk concert della NPR.

 

Ma se parliamo di rivoluzioni non possiamo non mettere su un piedistallo l’islandese Bjork, che ha trasformato se stessa quanto la sua musica, passando dal rock all’elettronica, alla musica sperimentale, sfruttando la sua voce come miglior strumento di suggestione e sensibilità musicale. E se Bjork nei suoi testi non sembra prendere posizione sulla questione femminile, rimane l’esempio più fulgido di donna emancipata e di musicista indipendente. Bjork non ha bisogno di essere donna per fare musica, non ha bisogno del suo sesso e non deve dimostrare di averne uno.

Tutto. E anche il resto.

 

Un’altra donna che non ha mai avuto bisogno di categorie è la polistrumentista inglese PJ Harvey, anche lei sperimentatrice, di suoni e di stili.

Rid of me, dall’album del 1993.

 

Last living rose, da Let England shake del 2011.

 

Se i nomi più famosi hanno fatto la storia e sono spesso serviti a delineare le tappe di un riscatto culturale femminile, oggi i nomi delle donne che hanno fatto della musica la propria carriera sono innumerevoli: da St. Vincent a Joss Stone, da Julianna Barwick a Julia Holter, da Angel Olsen fino all’italiana Levante. Lascio a voi l’ascolto.

Jesus saves, I spend, St. Vincent.


Right To Be Wrong, Joss Stone ai Brit Awards.

 

The magic place, Julianna Barwick.

 

Feel you, Julia Holter.

 

Shut up kiss me, Angel Olsen.

 

Levante a “Voi siete qui”, Radio24.

 

Spesso forse ci facciamo ancora la domanda di Tori Amos, ma ci siamo già risposte, perché mancherebbero altri nomi da citare in questo “annale” della musica al femminile, ed è un buon segno. Come donne abbiamo completato il percorso che aveva indicato Diana Ross quando cantava I’m coming out.

 

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