Da Abbado a Keith Jarrett, da Pavarotti a Frank Zappa: i suoni si fanno immagine e storia attraverso l’obiettivo di Silvia Lelli e Roberto Masotti che hanno ritratto – alla Scala e in molti altri palcoscenici – i più grandi protagonisti delle scene musicali. Centodieci scatti – una scelta di un lavoro infinitamente più vasto – in mostra a Palazzo Reale
Scarpe da ginnastica vecchio stile, pantaloni comodi, bretelle nere sulla camiciola bianca, Lucinda Childs muove i suoi passi di danza, che danza non sono, sulla scena di Einstein on The Beach di Robert Wilson (allora Bob): l’opera che ha scardinato l’Opera in musica, perché non era un’opera ma un “quadro” in movimento su una musica (di Philip Glass) freneticamente fissa. Lo scatto fotografico l’ha fermata un po’ a mezz’aria, capelli sciolti e sguardo distratto, col broncio. In realtà, dal momento in cui l’obiettivo di Silvia Lelli l’ha colta nei suoi candidi ghirigori alla Fenice di Venezia, una sera del 1976, Lucinda non si è mai fermata. L’eterna bambina non ha smesso di correre e ancora oggi (78 anni) possiamo sceglierla per girare fra le Musiche di cui le centodieci fotografie di Silvia Lelli e Roberto Masotti (a cura di Marco Pierini, a Palazzo Reale di Milano fino al 23 giugno,), raccontano storie, non allineano figure.
Sono le foto di una vita, anzi due, parallele e incrociate, in girandola come palle da biliardo da un festival jazz alla Scala, dall’Hangar Bicocca agli studi di fonologia di Friburgo, da una galleria d’arte a un palasport, dalla Kongresshaus di Zurigo a un rifugio del Latemar, da Umbria Jazz alla Rocca Sforzesca di Imola, dal teatro Donizetti di Bergamo a Moers, dal Comunale di Genova (Stadio) al Comunale di Bologna (Teatro), dal Crt di Milano al Pala De André di Ravenna, dalla Akademie der Kunste di Berlino a Sant’Arcangelo di Romagna.
Ma non chiamatela retrospettiva, per favore: sa di celebrazione e di punto d’arrivo, toccando ferro. Musiche è il contrario: l’album su cui ritroviamo, vissute o conosciute di riflesso, le mille realtà di cui è fatta la musica del dopoguerra, di cui sono foderate le nostre orecchie libere, se tali sono state veramente. Come la mente (Finardi).
L’album potrebbe essere più ricco, più grande, più esteso – ci sono almeno 45mila fotografie da sfogliare nel catalogo LellieMasotti salvato in tera – ma già la scelta di Musiche ci rimbalza da un angolo all’altro della terra, delle lingue, degli stili, delle forme e dei contesti, seri e leggeri, alti e bassi, ritualizzati e non, in cravatta scura o sacco a pelo.
Molti, è ovvio, sono gli incontri con cari estinti. Leonard Bernstein che si “porge” come un attore di tragedia greca, (144994) mano sul cuore e occhi chiusi, mentre prova con la Filarmonica della Scala, anno 1984. Claudio Abbado che sorride al sorriso di Daniel Barenboim, piegati insieme sulle pagine di Mozart, (foto di apertura) mentre prepara il concerto del suo storico rientro alla Scala, anno 2012. Frans Bruggen e Gustav Leonhardt insieme ad Anner Bijlsma nel Coro di San Maurizio al Monastero Maggiore spazio di raffinate magie, quando ancora a Milano si faceva della musica antica un festival dove tutta la filologia del mondo aveva diritto di parola.
Non c’è più neanche John Cage, che ci ritorna mentre sfodera con gesto da pugile bambino (51515) la sua vittoria sul pubblico al teatro Lirico, dopo aver lottato senza violenza contro lazzi e sberleffi mentre intonava per un’ora e mezza, sulle Emty Words di Thoreau, i bisbigli e i fruscii di un non-concerto che il Movimento non poteva capire: Milano 1977. Estinto anche il nostro fratello Nusrat Fateh Alì Khan, cantore virtuoso e forse mistico di quella musica qawwali pachistana che stimolava in ipnotico levare le nostre riflessioni sulle religioni al plurale, su Dio, sul dopo. Estinto anche Cecil Taylor, che, berretto di lana in testa, quasi infilato nella tastiera del pianoforte, ribatte le infinite note del suo free jazz forsennato, ai limiti di tutto. Estinte le inenarrabili Madri dell’Invenzione di Frank Zappa (Palasport di Lugano, 1976) (92031) e le mani senza fine di Mstislav Rostropovic (Teatro alla Scala, 1987) , che quattro anni dopo avrebbero fatto sgretolare con l’aiuto di Johann Sebastian Bach (Suites per violoncello) il Muro più mostruosamente cementarmato del dopoguerra.
Ma davvero non ci sono più quei musicisti di ieri e dell’altro ieri che ci hanno lasciato? Musiche dice il contrario, celebra una resurrezione mahleriana. La forza della fotografia e la qualità delle Musiche come stazione alta di quel linguaggio, concorrono nel miracolo: farceli ri-suonare davanti come se nulla fosse accaduto. Demetrio Stratos che stira le corde vocali ai confini suoi e della voce di sempre, è qui grazie a quel bianco e nero. Meredith Monk che canta con le sue compagne di musica e danza girando in tondo in salopettes monacali, le vediamo ancora. Luciano Pavarotti che si stringe la sua Raina Kabaivanska mentre prova preoccupato (giustamente) Tosca alla Scala, non è mai andato via. Giancarlo Cardini che si dispera davanti a uno Steinway che non vuole suonare ; Keith Jarrett che lo Steinway lo suona e si contorce in un rapporto di dolorosa relazione, sono attori di una stessa passione. Nella quale gli applausi non sono a comando, con la luce rossa che si accende e sdraia le volontà nel consenso digitale.
Musiche non è una mostra di fotografie, ma una galleria di storie che in quegli scatti hanno il loro codice: basta attivarlo, gratis, senza costi aggiuntivi che non siano quelli, modesti anche se poco esercitati, di una memoria attiva o di una facile ricerca. E la musica del nostro tempo si rimette a suonare.
Immagine di copertina: Claudio Abbado e Daniel Barenboim, prove del concerto di Orchestra Filarmonica della Scala e Mozart, Teatro alla Scala, Milano, 2012.
( tutte le immagini, Courtesy Mostra e pubblicazione MUSICHE)