Il film dell’esordiente regista turca Deniz Gamze Ergüven, che “correrà” per la Francia all’Oscar, è un ottimo esempio di denuncia che non rinuncia al sorriso
Un film di denuncia riuscito non può che nascere dall’esperienza personale. E anche se ciò che l’autore decide di condividere con il pubblico è solo una piccolissima parte del vissuto, già basta per scagliare pietre distruttive contro le finestre dell’ingiustizia. Forse non serviranno a demolire il palazzo, ma apriranno pericolosi spifferi da cui urlare la propria indignazione. Un esempio perfetto è Mustang, dell’esordiente regista turca Deniz Gamze Ergüven, passato alla prestigiosa Quinzaine des réalisateurs del Festival di Cannes 2015, premiato alla Festa di Roma e ufficialmente designato a rappresentare la Francia agli Oscar 2016.
Figlia di un diplomatico e cresciuta a cavallo tra Parigi e Ankara, Ergüven racconta in questa pellicola la storia di cinque sorelle cresciute nel nord della Turchia e segregate in casa dopo aver festeggiato insieme a dei coetanei la fine della scuola. Un divertimento casto, spensierato e gioioso, che però ha scatenato le voci dei vicini e l’estrema reazione della nonna, accusata dagli anziani del paese di aver dato alle protagoniste un’istruzione troppo permissiva. La costrizione carceraria è tanto ripugnante quanto inflessibile, capace di far scattare di rabbia anche lo spettatore più distratto.
Un ficcante trattato filmico a denuncia della condizione delle donne. Ma ciò che più riesce alla giovane cineasta è donare equilibrio a un’opera complessa, che vive anche di repentini e straordinari cambi di tono. Alle cupe e vergognose imposizioni, le ragazze reagiscono giocando e inseguendosi persino tra le mure domestiche. Alle orripilanti privazioni, che distruggerebbero la vita di un qualsiasi loro pari età occidentale, fa da contraltare la genuinità e l’estrema spensieratezza di quei volti ancora troppo giovani per scontrarsi con una vita infelice e già decisa.
Peccato che il racconto subisca sporadicamente qualche calo di ritmo, dovuto inevitabilmente a una parte centrale bloccata dagli angusti spazi domestici in cui è costretta la cinepresa. Ma poco male: bilanciano alla grande l’ottima fotografia di David Chizallet ed Ersin Gök, e le toccanti musiche composte dall’australiano Warren Ellis, una garanzia di qualità che in pochi oggi possono permettersi (da urlo la soundtrack composta con Nick Cave per L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, un film del 2007 di Andrew Dominik).