Buona la prima dei Muzz

In Musica

A 5 anni dalla loro prima demo, la superband americana materializza il primo album che prende il titolo dal nome omonimo del gruppo. Rilassato e seducente

Molto più che un progetto collaterale, Muzz è un gruppo formato da tre amici che si conoscono dai tempi delle High School. È un trio formato dal frontman degli Interpol, Paul Banks, dal batterista dei Walkmen, Matt Barrick, e dal polistrumentista dei Bonny Light Horseman, Josh Kaufman. La gestazione del disco omonimo è durata circa cinque anni, senza scadenze prefissate.

Muzz si apre con la bellissima Bad Feeling, in cui la voce baritonale ma rilassata di Paul si coniuga bene col lento incedere del pezzo che ha una bellezza minimalista e nel finale si apre a una morbida conclusione orchestrale. Bad Feeling già mostra un lavoro di produzione impeccabile che evidenzia una notevole strumentazione, compresa la sezione del corno descritta da Josh Kaufmann come “milioni di mongolfiere che salgono”. Ecco una curiosa  versione casalinga:

L’epica Red Western Sky, uscita due mesi fa come singolo e dimostratasi  fin da subito la canzone  pop rock per eccellenza del disco, dice: “Inviami la polvere, inviami il resto / Seduto in forme solitarie, come se fossimo infiniti”    

Broken Tambourine si apre con alcuni motivi pianistici accompagnati dal canto degli uccelli. L’atmosfera che ne nasce prepara il successivo ingresso degli strumenti che si fondono attorno alla voce malinconica di Paul Banks.

Knuckleduster è trascinata dall’intensa e suggestiva sezione ritmica di Matt Barrick (vedi sotto il videoclip). La voce di Paul, qui come in molte canzoni dell’album, esprime una fragilità toccante. 

Il suono scarno come una calda e leggera bossa nova di Summer Love invita a un vago senso di nostalgia, come uno sguardo amorevole sugli anni passati.

In Evergreen, Banks canta: “un farmaco, una cosa per portarti sopra / una cosa per renderlo piacevole, stanotte te lo dirò / Non ne ho mai davvero bisogno, in qualche modo sta prendendo il sopravvento / A volte cerchiamo di notte e ci lega”. I riferimenti alle dipendenze  si possono naturalmente vedere, ma la canzone sembra più che altro un valzer psichedelico con interessanti effetti vocali.

How many days e Everything like it used to be come Broken Tambourine evocano il rock degli anni ’70  strizzando un occhio a Neil young. 

Resta da dire di Patchouli, una ballad dalle atmosfere hawaiane che si integra bene al resto del lavoro, e della bellissima Trinidad, un brano corto e struggente che chiude bene l’opera. 

Nel debutto (si fa per dire) dei Muzz ritroviamo un’atmosfera rock classica che rimanda al crepitio del vinile sotto la puntina. È una sintesi di anni di rilassate collaborazioni e sperimentazioni, libere dai vincoli dei progetti nei gruppi di riferimento dei singoli musicisti. 

L’atteggiamento rilassato della band nella scrittura e nel sound diventa l’estetica stessa dell’album. La lunga amicizia e il rispetto reciproco probabilmente hanno fatto il resto. 

Il lavoro non affrettato, libero da vincoli e da scadenze ha portato alla luce 12 tracce e 43 minuti di materiale ispirato, anche se la voce seducente e raffinata di Banks  finisce per diventare maniera nella seconda metà dell’album.

Un disco concepito da musicisti veri e non appagati, con rari momenti di assopimento e con svolte sperimentali molto interessanti, che si susseguono con discontinuità.

Detto questo uno dei migliori ascolti dei primi tribolati mesi dell’anno.

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