Nata a Milano nel 1936, Nanda Vigo ci ha lasciati lo scorso 16 maggio all’età di 83 anni, dopo una vita trascorsa tra Milano e l’Africa orientale. Artista, architetto e designer, nel gruppo Zero con Manzoni e Castellani, ha collaborato con Lucio Fontana e Gio Ponti, esposto in più di quattrocento mostre comprese Biennali, Triennali e musei internazionali e ha speso la vita nella riflessione sul conflitto e l’armonia tra la luce e lo spazio. La ricordiamo in tempi recenti impegnata al Guggenheim di New York e al Martin-Gropius-Bau di Berlino nelle manifestazioni dedicate a ZERO nel 2015, nella prima retrospettiva a lei dedicata da un’istituzione pubblica italiana a Palazzo Reale di Milano nel 2019, nella mostra ancora in corso da lei personalmente allestita al MACTE di Termoli e, nel 2016, nella splendida installazione per il cortile della Ca’ Granda dell’Università Statale di Milano, curata da Donatella Volontè che l’ha ricordata per noi.
Nanda trasgressiva; Nanda femminista (o maschilista, visto che tutte le altre donne erano un po’ un ‘meno’?); Nanda milanesissima (era nata ed è morta nella stessa casa, in Porta Romana, anche se le sue nonne erano una parigina e l’altra nata a Vienna), internazionale (aveva studiato al Politecnico di Losanna e poi presso Frank Lloyd Wright, una “delusione”, diceva lei), malata d’Africa e vagabonda per l’Asia; Nanda dagli amori importantissimi, pin-up degli anni Sessanta, con la sigaretta fra le dita al Jamaica, in via Brera, con Manzoni (“il Piero”, lo chiamava lei), Castellani, Fontana, Gio Ponti …
Nanda egocentrica, furiosa, intransigente. E dolcissima.
La Vigo architetto, artista, designer; multidisciplinare quando applicarsi in ambiti diversi era peccato; sulla luna, prima che Armstrong ci poggiasse il suo piede, sempre avanti e sempre in uno spazio e in un tempo che poco hanno da spartire con le dimensioni a noi note.
Ben ci aveva visto Fontana, nel ’64, quando parlava di un suo Ambiente cronotopico definendolo antidimensionale. La luce, i vetri, gli specchi, gli infiniti riflessi e rimandi sono stati la cifra della sua ricerca che ha disintegrato le coordinate cartesiane e i limiti temporali. Sempre la stessa, ossessiva e costante, dagli esiti però imprevedibili.
Nanda lavoratrice instancabile (“la matita in mano la terrò fino all’ultimo respiro”), curiosissima, annoiata da morire dalla conversazione quotidiana; Nanda che stava alla larga dalla miseria umana, quella morale; ecologista ante litteram, a cui il cosmo interessava più della singola individualità; sprezzante dei politicanti e sempre con uno sguardo un po’ più alto, a tratti imbarazzante.
Nanda fedele, al suo lavoro e agli amici, pungente e riconoscente. E, ancora, dolcissima.
In un’intervista nell’autunno del ’16 mi disse: “Se fossi in coma e sentissi la sua musica (di Bob Marley), resusciterei”. E, allora, reggae a tutto volume!
Immagine di copertina: Nanda Vigo, courtesy Archivio Nanda Vigo