I libri letti quest’anno, quelli che spostano un qualche confine un po’ più in là, ma anche la distruzione di Aleppo e un mercatino di Natale, lì a Berlino. Non un bilancio, ma pensieri a cavallo tra sé e il mondo
Con te il Natale non attacca. Niente magia, niente miracolo, niente di niente. Probabilmente finirai come il vecchio Scrooge, una notte ti toccherà la visita degli spiriti. L’accoppiata Natale-Capodanno poi, quella la consideri letale. Buoni sentimenti-buoni propositi. Hai i tuoi motivi, ma non è il caso di tirarli fuori ogni volta. E dovresti smetterla di dire a tutti che vorresti svegliarti il 7 gennaio. Non sei quel tipo di persona, non così snob.
Quello che ti fa innervosire davvero è il bilancio di fine anno. Che in sé non sarebbe una brutta cosa. Anzi, bilancio è una bella parola concreta, da ragioniere, e i ragionieri capiscono il mondo (Sorrentino su Sette). Affrontano la complessità armati di molte righe e due sole colonne: Entrate/Uscite. Un’attività che li obbliga a fermarsi e suddividere il tempo in trimestri, semestri e annualità, e poi ragionare su quel che è andato bene e quel che non ha funzionato. Invece in Rete, in Tv e sui giornali, insomma ovunque, registri tutto un fiorire di elenchi compilati perlopiù senza criterio esplicito, senza l’intelligenza dei commercialisti, vorresti dire. Concepiti in partenza come liste della spesa, in ossequio, questo sì, alla natura marcantile della faccenda: canzone dell’anno, artista dell’anno, film dell’anno, libro dell’anno, best of. Sì, ma, e la complessità? E il ragionamento?
Il tuo problema è che prendi tutto troppo sul serio. Non sai vivere. Facebook ricostruisce il tuo 2016 con una simpatica app piena di palline che rotolano? E tu pensi a Thomas Mann.
Il tempo in realtà non ha suddivisioni, non ci sono tempeste, non v’è rumoreggiare di tuoni all’inizio del nuovo mese o del nuovo anno, e anche a quello del nuovo secolo: siamo soltanto noi uomini che spariamo e suoniamo.
Te la prendi persino con gli algoritmi. Non sai stare al mondo. E nelle questioni che ti riguardano, tendi a concentrarti solo sulle Entrate. È uno dei tuoi problemi. Considera i libri. Nel periodo gennaio-dicembre 2016, le Uscite del tuo personale bilancio sono state parecchie. Per Uscite intendi i soldi buttati per nulla. E però, benché carente di spirito natalizio, non sei capace di stroncature, che pure aumenterebbero considerevolmente il numero dei like sul tuo profilo Facebook, condizionando l’algoritmo di cui sopra.
Le Entrate sono i soldi ben spesi, cioè i libri buoni. Che poi, buoni, dipende. Dipende da te, da come stai in quel momento. Da quel che ti serve. A gennaio ad esempio hai letto Una famiglia americana di J.C. Oates. Perfetta per il mood antinatalizio, Oates ti ha mostrato com’è che il paradiso salta in aria. E te lo ha raccontato au ralenti, entrando nei visceri della famiglia Mulvaney con perizia chirurgica.
Con Riparare i viventi di Maylis De Kerangal, letto a giugno, hai chiuso in attivo il budget dell’intero anno, direbbe il tuo amico ragioniere. Può un romanzo ridefinire il concetto di morte? A bocca aperta, col cuore gonfio, hai dovuto rispondere sì, perché sotto i tuoi occhi De Kerangal ha preso i confini della scrittura narrativa e con gesto elegante, senza apparente sforzo, li ha spostati più in là. Attenzione: rimanendo narrazione, rimanendo romanzo, e nel contempo spingendosi impavida nella terra d’altri, medici, filosofi e predicatori. Un coraggio da leone, hai pensato, che è poi virtù cardinale dello scrittore.
A luglio hai riletto Il richiamo della foresta e hai capito come Jack London abbia guadagnato una montagna di soldi facendo in un romanzo qualcosa che prima di lui non aveva fatto nessuno, o nessuno così bene: mettersi al posto del cane.
Luglio ti ha portato anche Metà di un sole giallo di Chimamanda Ngozi Adichie e se hai allargato un po’ i tuoi personali confini, se sai qualcosa di Africa, lo devi a lei. Ad agosto hai letto Una vita intera di Robert Seethaler. Un romanzo-favola, pieno di boschi e di neve: altro gioiello di scrittura che non sa che farsene della categoria “romanzo”. E anche a Dicembre hai chiuso in attivo: stai leggendo infatti Qualcosa sui Lehman di Stefano Massini ed è tutto un magnifico star dentro e fuori, fuori e dentro la scrittura romanzesca.
Arrivata in fondo, noti che, nella colonna delle Entrate 2016, Qualcosa sui Lehman è l’unico libro uscito nel 2016, quindi torni a Thomas Mann.
Il tempo in realtà non ha suddivisioni.
Eh. Alla faccia dei compilatori di liste di fine anno. La frase viene da La montagna incantata, romanzo che si chiude allo schiudersi della prima Guerra Mondiale, sul rumore della bombarda.
siamo soltanto noi uomini che spariamo e suoniamo.
Aleppo, pensi, e Berlino, e la pubblicità RAI sui concerti di Natale. Ammutolisci. Corpi sventrati e marcia di Radetzky. Che senso ha, oggi, buttar parole? Intendi quelle che hai appena scritto. Che senso ha?
Pensi che ci vorrebbe una nuova Arendt per raccontare la verità del tuo Natale 2016, il tuo senso di smarrimento, la sensazione di invincibilità del Male. E magari altri romanzi che abbattano altri confini. Ti accorgi che stai pregando, anche se non sei il tipo.