I fratelli Toni e Beppe Servillo parlano delle Voci di dentro, dell’essere attori, di Eduardo e del presepe e di come è bello sentirsi napoletani a Milano
Nella “casetta” degli attori, cioè nel suo camerino, come lo chiamava suo figlio da piccolo, Toni Servillo sta buona parte dell’anno. Qui, dal marzo 2012, condivide le fatiche col fratello Beppe che, come sanno i musicologi, è un acclamato e raffinato musicista “imprestato” (senza scadenza) al teatro dopo una vita musicale con gli Avion Travel e la Sugar della Caselli.
Prestato in particolare ad Eduardo, alle Voci di dentro che ha riscosso successi strepitosi non solo in Italia in tutto il mondo (dopo Chicago Parigi, Madrid e San Pietroburgo ci sono state Barcellona e Budapest, Lione e Liegi, la Germania…) e sta per inaugurare una collana Dvd della Repubblica. E ha avuto, udite udite, 2 milioni di telespettatori in una diretta da Napoli su Rai1 alla domenica pomeriggio, un’edizione magistralmente curata da Paolo Sorrentino con 8 telecamere disposte nel teatro San Ferdinando restaurato ai tempi proprio da Eduardo: anche questa è “Vita in diretta”, ma di ben altra natura.
«La Tv ha fatto in diretta il suo mestiere più nobile, la cronaca di un avvenimento per una volta culturale non di cronaca». Ora per le feste, i Servillo bros sono tornati a casa, ma mentre Toni, che da sempre in famiglia s’occupa per tradizione del presepe, osserva pochi giorni di riposo in un periodo tutto “sold out”, Beppe ormai anch’egli contagiato dall’attivismo e dal successo (si capisce che la “ditta” continuerà, proseguendo il discorso delle famiglie di artisti dopo Scarpetta, i Maggio, De Filippo…), terrà un concerto in chiesa con le “canzoni” di sant’Alfonso de Liguori.
Poi dal 2 gennaio di nuovo nel panorama surreale della bellissima commedia pre freudiana di Eduardo, ancora a Napoli e poi un altro mese a Roma, all’Argentina: in primavera, quando l’ultimo buio chiuderà quest’avventura con i due attori con lo sguardo rivolto all’infinito, l’ordine del giorno segnerà le 350 repliche. Poche meno dell’altro best seller, la famosa goldoniana Trilogia della villeggiatura, giunta a quota 394: «Sento di aver saldato almeno al 5% il mio debito con Eduardo nel 30mo anniversario della sua morte» dice Toni con spiritoso “understatement”.
Vedere questi due fratelli («quando abbiamo accettato il progetto avevamo messo in conto tutto, anche il legame di famiglia con le complicità e soggezioni di fratelli») è però straordinario: i loro lunghi e malinconici sguardi si inerpicano uno sull’altro, passano lentamente in tutta la platea, si irradiano, poi tornano sul palco rinvigoriti dall’attenzione complice degli spettatori.
Servillo, in arte Gep Gambardella per il grande film dell’Oscar La grande bellezza, ha una predilezione per Milano, città dove ha per anni legato la sua carriera senza dimenticare una serata: «E’ la piazza dove ho recitato di più, con le maggiori soddisfazioni, dove ho amici fraterni al Piccolo, al Puccini Elfo. Sappiamo tutti noi teatranti che Milano, fin da quando recitavo i Molière coi Teatri Uniti e poi il Copi al vecchio Porta Romana con l’amatissima Melato donna barbuta, ha la migliore offerta teatrale italiana; e l’informazione, l’organizzazione, il coraggio e la varietà delle proposte. I teatri sono pieni e sono intestati spesso ai nomi degli attori che vi hanno recitato: è una cosa bellissima che a noi in particolare fa piacere. Del resto i napoletani a Milano sono una tradizione, dai tempi di Viviani e De Filippo cui mi accosto con perdonabile e veniale superficialità».
«Il teatro è rimasto l’occasione di un incontro che parla a tutti e ciascuno nello stesso tempo» dicono Toni e Beppe con precisione. Parlatore raffinato, intellettuale curioso (è stato implicato non a caso nel Festival della Mente di Sarzana), Toni è nato nel ’59, proprio quando Eduardo stava sul palco del Nuovo a cucinare con Pupella Maggio il ragù di Sabato, domenica e lunedì, uno dei grandi successi di Toni e della Bonaiuto, che sarà in edicola con l’iniziativa dei 8 dvd dal 27 dicembre, che comprende Marivaux e le Bagattelle.
«Comunque Napoli e Milano sono le nostre vere grandi metropoli, pur con enormi differenze» affermano i Servillo. «Prova ne sia – dice Beppe – che in aprile sempre con Toni saremo di nuovo allo Strehler con La parola canta in cui uniamo secondo tradizione il verbo alla musica, sempre di origine napoletana, come in un varietà contemporaneo: la fusione di un concerto con la poesia». «Una serata a due con i movimenti della tarantella – dice Toni – e i nostri solisti suoneranno anche un quartetto di Fabio Vacchi».
Con 35 anni di teatro nel curriculum (gli inizi con Martone, la nouvelle vague di Napoli) Servillo vive ogni sera nella “casetta” il suo lavoro «come la testimonianza, oggi che le tournèes sono internazionali, del lavoro di una compagnia e anche del tempo che passa, dei volti che mutano insieme a strategie e atteggiamenti dello spettacolo».
Sensibilissimo al fascino milanese, si diceva: l’anno scorso Toni recitò Gadda a Brera, quest’anno Testori, l’immenso Testori critico d’arte, magari chissà domani Bertolazzi o Porta: «Ci avevamo pensato a un Nost Milan in napoletano: i dialetti sono la forza degli umiliati e offesi non questione folk. Con Testori speriamo di aver incuriosito i giovani ad andare a fare una visita al sacro monte di Varallo oltre che a leggere le sue parole».
Ma insomma, recitare col proprio fratello è dura? «Siamo riusciti a infondere nell’operazione una carica motivazionale per questa ragione, evitando il rituale ma individuando proprio nel cambiare le sale, le città, il pubblico sempre nuovo e diverso, il senso ultimo del nostro lavoro girovago». Gli Scarrozzanti, li chiamava Testori nella sua mirabile trilogia, riferendosi non a caso anche ai Giganti della montagna: «E’ l’andare in scena tutte le sere che dà la più profonda ragione d’essere attori: non c’è ripetizione, né noia. In futuro aspetteremo le occasioni non pretestuose per lavorare di nuovo assieme. Sono un giovane attore anche se non una giovane persona» dice l’amatissimo Toni, che sta per iniziare un nuovo film di Roberto Andò, il regista di Viva la libertà.
E poi ricorda il primo comandamento: «Per fare l’attore, come prima cosa, ci vuole la salute». Lo dicono tutti, sempre: è la verità.