“Sing” di Garth Jennings, il cartoon più riuscito e atteso, tra musica e umorismo, è per ora visibile solo in anteprima in giro per l’Italia, ma due prodotti transalpini meritano una puntata al cinema: il bizzarro e malinconico “La mia vita da zucchina” di Claude Barras, forse più adatto (e rivolto) a un pubblico adulto, e “Le stagioni di Louise” di Jean-François Laguionie, con una deliziosa vecchietta protagonista. Ha invece un po’ deluso l’ecologico e femminista “Oceania”
A Natale il film a cartoni animati è una tradizione. E quest’anno il bottino è ancora più ricco del solito. Compreso un piccolo gioiello di musica e umorismo che non possiamo fare a meno di raccomandare, Sing di Garth Jennings, in Italia in questi giorni in anteprima in varie città ma il cui debutto nazionale generale è fissato per il 4 gennaio 2017. Prodotto dalla Illumination Entertainment e distribuito da Universal, ha puntato le sue carte sulla creazione di una folta schiera di animali antropomorfi di eclatante simpatia: dalla timida elefantessa Meena allo sbruffone tascabile Mike (topo musicista che canta come Frank Sinatra e ha un debole per i night, i tavoli da gioco e le belle pupe), dal gorilla Johnny (in fuga da un destino malavitoso grazie alla voce alla Elton John) alla maialina Rosita, casalinga in cerca di riscatto da una famiglia troppo numerosa e invadente. E poi ancora Ash, il porcospino femmina dalla sublime grinta rock, l’esagitato maialino Gunter e la pigrissima pecora Eddie. Tutti coordinati dal koala Buster Moon, impresario sfortunato e geniale che decide di risollevare le sorti del suo teatro inventandosi un talent show tipo X Factor e andandosi naturalmente a cacciare in un mare di guai. Per gli spettatori (piccoli, certo, ma anche grandi) il divertimento è garantito da un ritmo indiavolato e una lunga serie di trovate, una più buffa dell’altra, per non parlare della colonna sonora, strepitosa!
Anche il colosso Disney non poteva certo farsi sfuggire l’appuntamento delle feste, ma stavolta s’è presentato al traguardo con un prodotto non del tutto convincente, Oceania di John Musker e Ron Clements, fiaba ecologista e femminista dai sontuosi effetti speciali che si apre su un’isola della Polinesia, duemila anni fa, dove la piccola Vaiana (in originale si chiamava Moana, ma in Italia hanno dovuto cambiarle nome, potete immaginare il perché) è nata e sta crescendo felice ma con un segreto cruccio: perché la sua gente, appartenente a un popolo di navigatori, ha smesso di solcare le acque dell’oceano? E perché un oscuro male sembra in procinto di invadere l’isola e condannare a morte certa i suoi abitanti? E soprattutto, come impedire che ciò avvenga? Per farlo non c’è che un modo, prendere la via del mare e andare alla ricerca del cuore della dea della natura, Te Fiti, sottratto anni addietro dal semidio Maui, e riportarlo al suo posto. Un viaggio di formazione rigorosamente al femminile, tutto giusto, impeccabile, costruito con cura e professionalità, dove non mancano le trovate divertenti (i tatuaggi magici di Maui che si animano per raccontare la storia della sua vita) ma l’emozione, quella vera, latita più o meno sempre. Forse perché in questo film non c’è nemmeno un cattivo degno di tale nome? O forse perché l’emancipazione femminile non è neppure una conquista per la protagonista, è semplicemente data per scontata? O forse ancora perché di buone intenzioni è come sempre lastricata la via dell’inferno?
L’antidoto perfetto a tanta correttezza politica? Un altro cartoon di Natale, che di banale spirito festivo ha però ben poco: La mia vita da zucchina di Claude Barras (scritto con l’aiuto dell’ottima sceneggiatrice Céline Sciamma). Il protagonista è il piccolo Courgette (zucchina, appunto), orfano dai grandi occhi cerchiati di blu, che finisce in un istituto per bambini abbandonati dove alla tristezza del ritrovarsi solo si aggiunge il senso di colpa per aver provocato (senza volerlo, ma il risultato non cambia) l’incidente che ha causato la morte della madre alcolista e violenta. In orfanotrofio troverà altri piccoli esseri sofferenti e rabbiosi, precocemente “danneggiati” dalla vita, da famiglie disastrate, e adulti crudeli, e istituzioni indifferenti, ma anche qualche spiraglio di incredibile felicità, riflesso negli occhi timidi della scostante e fragile Camille. Un prodotto bizzarro e affascinante, più adatto ad adulti curiosi che a bambini bisognosi di rassicurazione. Un piccolo gioiello di animazione in stop motion capace di commuovere fino alle lacrime, grattando via la patina del sentimentalismo da reality show per ritrovare la sostanza autentica dei sentimenti. Quelli veri, che accomunano grandi e piccoli.
Poco adatto a un pubblico infantile ma non per questo da ignorare anche Le stagioni di Louise di Jean-François Laguionie, altra produzione francese che si è data l’obiettivo di dimostrare che l’animazione non deve per forza essere abbinata all’idea di cinema per ragazzi. Da questo punto di vista, la scelta si presenta radicale fin dall’identità della protagonista: un’anziana, proprio una vecchietta, che a fine stagione, in una cittadina balneare, perde l’ultimo treno che dovrebbe riportarla in città e si ritrova tutta sola in una sorta di universo parallelo dove non potrà far altro che aspettare il ritorno dell’estate e dei villeggianti. Il tempo trascorrerà in compagnia di un gentile cane parlante e dei ricordi di una vita intera, che si affacciano prepotenti e solo di rado capaci di fornire qualche spunto di consolazione. Per una volta, un cartoon ci racconta una storia di formazione che ignora il tanto esplorato passaggio fra infanzia e adolescenza per concentrarsi sull’altro passaggio epocale, quello fra maturità e vecchiaia. Con tanta poesia, un pizzico di ironia e un sottile ma persistente filo di inquietudine.