Il tragicomico monologo eduardiano da Casa Cupiello
Natale in casa Cupiello è, per eccellenza, uno dei testi su cui si fonda la farsa, gioiosamente tragicomica, della nostra italianità. Di cui Eduardo è stato cantore originale e profetico, senza nessun dubbio. Ri-allestirlo proprio durante l’Avvento è una scelta prevedibile, ma anche felice: è forse la congiuntura migliore per ricordare vezzi, vizi e virtù di un popolo alle prese con le paranoie che esplodono quando divergono tradizioni, famiglia e conflitti. Natale in casa Cupiello è, inoltre, un banco di prova importante per molti artisti: basta pensare, negli ultimi anni, alla rilettura caravaggesca, inventiva e radicalmente spirituale firmata da Antonio Latella, in cui vigorosi echi brechtiani e kafkiani facevano i conti, in maniera netta, con le strutture paradigmatiche dell’universo eduardiano.
Non solo Latella, però: al Piccolo di Milano, a pochi giorni dalla nascita del Redentore, ritorna (questa volta in via Rovello) il Natale “in assolo” adattato, diretto e interpretato da Fausto Russo Alesi. Una edizione, quella firmata dall’artista nato a Palermo, che esperisce proprio in Russo Alesi la sua totalità scenica: le parole scroscianti, profumate di Eduardo rivivono infatti nella cassa toracica, nella voce dalle destinazioni multiformi e dai calzini deteriorati del protagonista. Che in sé divora il tormento, le paure e le nevrosi di tutti i protagonisti: è lui lo strumento che li rileva come collettività urlante e insoddisfatta, è lui a dare loro una voce che sia unica e diffusa. L’attore-regista plasma il materico sostrato eduardiano – gravido di suoni, odori, paradigmi d’umanità varia – e lo rimodella attorno a sé. E tornano, implacabili, le frasi e le domande ossessive, che si ripetono come mantra di funerea – ma invero sardonica – potenza. Tu ti devi trovare una camera mobiliata, Scettate ca’ sung’e nove, Te piace ‘o Presebbio?
Il suo Natale è febbrile, nevrotico, vocato a un egocentrismo meticoloso, ingombrante e tensivo. Alesi, costantemente sulla scena, non si concede tregua: cambia tono, intenzioni, sesso. La sua escalation ai vertici di Eduardo si compone grazie a un ispirato furore istrionico, ma anche a una notevole severità filologica: la fedeltà al testo originario è composta, reverenziale ma anche generativa – Fausto Russo Alesi rielabora in forma recitata alcune delle didascalie del testo di partenza. Tutto con un solo, importante obiettivo: veicolare le belle contraddizioni di spirito – a voler essere sintetici – tipiche della drammaturgia di Eduardo. E Alesi, che ha perfetta contezza delle geometrie della sua messa in scena, che indossa i tacchi delle donne e l’ossessività di Luca Cupiello con eguale pertinenza, si rivela regista funzionale, e autore di spessore. I crismi eduardiani, cristallizzati in quell’assurdo empito che fonde ironia e tragedia nella grande storia dell’essere umano, qui ritornano con maniera insolita, con forme egualmente incisive. Negare questo merito ad Alesi, in fondo, sarebbe un errore importante.