A distanza di tremila anni Calliope, la Musa, prende la voce: per tornare a raccontare la guerra di Troia, poiché non è per niente soddisfatta del lavoro di Omero. Sonzogno pubblica la traduzione del romanzo di Natalie Haynes, che ripercorre il poema omerico per riscriverlo riempiendolo delle voci di quella parte della storia che è stata doppiamente vittima, del destino assegnato e del silenzio epico: le donne.
Cantami o Musa, invoca Omero nell’incipit dell’Iliade: la Musa è Calliope, protettrice della poesia epica, e che, a distanza di tre secoli, decide di presentarsi al cospetto di Natalie Haynes per prendere parola.
Così nasce Il canto di Calliope (pubblicato da Sonzogno): la Musa si sente tradita e umiliata dal suo cantore, perché nel suo poema ha tralasciato l’altra metà della guerra di Troia, quella delle donne, e lei, Calliope, è una donna e darà lei voce alle sue sorelle,a partire da Andromaca, Cassandra, Pentesilea, Clitennestra. Così darà alla storia una vita più ricca, più completa, più vera.
A emergere per prima dal fumo che avvolge la città di Troia in fiamme è Creusa: ancora addormentata, abbracciata al suo piccolo, ha creduto nel sonno che l’eco di quel grande frastuono si trattasse di un temporale.
Poi si sveglia, è sola, brancola tra le fiamme, chiama il figlio, chiama il marito, Enea.
Il suo uomo è così forte, così coraggioso, che sarà già in prima linea a difendere le mura di Troia: è sempre tornato dalle imprese più rischiose, tornerà anche questa volta e la porterà in salvo.
Creusa ricorda quando, pochi giorni prima, dall’alto della rocca, avevano guardato insieme le navi greche salpare e lasciare sulla spiaggia un enorme cavallo di legno. Era emozionata, felice; l’ultima volta che era uscita dalle mura della città assediata, dieci anni prima, era ancora una bambina: era stata l’ultima volta che aveva camminato sulla sabbia, sentito il rumore delle onde sulla battigia. Ora finalmente sarebbe ripresa la vita, una vita normale. Enea, lei, il piccolo si sarebbero rincorsi sulla spiaggia ridendo. Intanto il cavallo si ergeva minaccioso, gigantesco, le faceva paura.
Ma era un dono votivo agli dei costruito dai Greci per favorire la loro partenza oppure nascondeva un qualche sortilegio oscuro, come temeva il sacerdote Laocoonte?
Priamo, il re, aveva deciso di accoglierlo entro le mura della città per testimoniare la sua devozione agli dei, per ringraziarli della vittoria. I ricordi di Creusa vengono inghiottiti dal fumo denso, nero, sempre più fitto. Le fiamme la inseguono. Da ogni parte urla, uomini e donne che fuggono, che cadono a terra soffocati. Non c’è scampo. Nessuna possibilità di fuga.
Intanto sulla riva del mare le donne troiane lacere, sgomente, guardano Troia bruciare. Non hanno più lacrime, le hanno consumate tutte. Meglio essere morte che vivere da schiave nel letto degli assassini dei loro mariti, dei loro figli, dei loro fratelli.
Lo sguardo della scrittrice Natalie Haynes, attraverso la voce della musa Calliope, o, piuttosto, Calliope attraverso Natalie Haynes, si posa sulle donne e ne racconta amori, speranze, delusioni, disperazione e sgomento in infinite sfumature, differenze.
Unica costante è l’alterità rispetto al mondo maschile che le ha trascinate in una guerra distruttrice per tutti, vincitori e vinti. E gli eroi, fatta eccezione per Ettore e Achille – l’uno, kalòs kai agathòs, bello e buono secondo il canone classico, l’altro divino e truce – sono rozzi, volgari, perfidi.
Neppure la scandalosa Elena, la bella delle belle, può scegliere, può amare: è solo oggetto di desiderio e pedina degli dei e del Fato.
Le figure più vive, le voci più originali che emergono dal dramma sono quelle secondarie, come quella di Ifigenia, sacrificata dal padre Agamennone per placare l’ira degli dei, o di Pentesilea, l’infelice regina delle Amazzoni, oppure ancora quella di Briseide, la schiava strappata ad Achille, e di Criseide, la figlia del sacerdote troiano rapita dai Greci.
E straziante è il coro delle Troiane tutte.
Schiacciate dall’ombra gigante dei mariti, le mogli dei grandi eroi restano succubi: la loro voce si alza soffocata e faticosa, fermata per incanto in un dramma che attraversa intatto i secoli, restituendole nella loro fragile umanità ferita.
Come Penelope – quasi fastidiosa la sua pazienza – che riprende il racconto del marito, e soprattutto la versione, le giustificazioni di lui, quasi senza provare rabbia, gelosia per gli infiniti tradimenti di Ulisse.
Solo alla fine, quando finalmente è tornato a Itaca e ha sconfitto i Proci, si sfoga:
Una cosa è sapere che tuo marito sta combattendo una guerra al di là del vasto mare oscuro. Un’altra è sapere che viene trattenuto da mostri, dèi e sgualdrine a ogni tappa del suo viaggio verso casa. Ma scoprire che si è ricongiunto con suo figlio prima che con sua moglie è stato l’ennesimo giro di coltello nella piaga.