Undici marzo: data unica e da non perdere per il premiato documentario di Frederick Wiseman, tre magnifiche ore dentro la vita del grande museo londinese
Si potrebbe discutere a lungo su come abbiano fatto gli inglesi ad accumulare un tesoro artistico così rilevante come quello esposto alla National Gallery di Londra (cui peraltro va ascritto il doppio, notevole merito di essere praticamente sempre aperta e ad ingresso gratuito).
Larga parte dei dipinti esposti, si spazia dal tredicesimo al ventesimo secolo, viene ovviamente dall’Italia come la prima opera mostrata, la pala d’altare del 1377, Incoronazione della Vergine con santi in adorazione attribuita a Jacopo di Cione. La guida racconta come poteva essere guardare all’epoca quella pala: luce di candela tremolante, ori che luccicano, impressione quasi che i santi si muovano, tutto questo a creare una notevole suggestione religiosa.
Questa la prima opera che Frederick Wiseman, grande documentarista statunitense, premiato lo scorso anno a Venezia con un Leone alla carriera, ha deciso di mostrare con il suo avvincente lavoro dedicato alla National Gallery, tre ore di emozioni e scoperte che vale la pena di vivere, sia che qualcuno abbia già visitato il museo, sia che, a maggior ragione non abbia avuto l’opportunità di farlo.
Perché il tratto caratteristico fondamentale del lavoro di Wiseman non è tanto quello di prendere un capolavoro e farlo raccontare (per questo esistono già libri e altri materiali), quanto di lasciare spazio alla curiosità sua che è poi anche quella del pubblico, spesso osservato e accostato ai dipinti. E così subito dopo ci porta ad assistere a una discussione in cui si parla di accentuare il punto di vista e i diritti dei visitatori rispetto a problematiche più strettamente museali.
Ecco allora che spiamo lezioni di prospettiva con tavole in rilievo che spiegano anche a chi non può vedere come è composto un quadro, poi lezioni di copia dal vero di nudi femminili e maschili, i vernissage con i vip che mangiano e bevono in un contesto unico, e ancora ci si insinua nel tempio del restauro per scoprire cose magnifiche.
La prima è che, oggi, si possono anche impiegare centinaia di ore per restaurare un’opera, ma basta un quarto d’ora per rimuovere i materiali che sono stati applicati, perché non conosciamo il futuro e dobbiamo lasciare aperta la strada a ritroso: sappiamo infatti i disastri compiuti nei restauri passati, oltre al fatto che esiste un deperimento naturale dei dipinti dopo secoli di esposizione a luce, umidità e quant’altro.
Affascinante per esempio il racconto del restauro del ritratto a cavallo di Frederick Rihel di Rembrandt. Come sempre viene fatta una radiografia e si scopre che Rembrandt l’aveva già dipinto in orizzontale, poi, per qualche motivo, lo ha rifatto sullo stesso quadro, in verticale, lasciando alcune bizzarrie come una improbabile trama nella calzatura, rimasta dal primo dipinto. Intensa anche la scoperta di un altro cavallo, Whistlehorse, l’enorme quadro dipinto dall’autodidatta George Stubbs.
Poi Leonardo, anche perché nel periodo in cui Wiseman ha fatto le sue riprese (170 ore di materiale girato) c’era una mostra temporanea interamente dedicata a lui, e il capolavoro La vergine delle rocce è una delle attrazioni permanenti del Museo.
E ancora Tiziano e le sue poesie dipinte desunte dalle Metamorfosi di Ovidio, il rapporto tra Watteau e la musica, il Pan di Poussin, la barzelletta su Mosè e le tavole della legge (“Una notizia buona e una cattiva. La buona: li ha ridotti a 10. La cattiva: è rimasto l’adulterio”).
Non poteva mancare il genio di Turner osservato attraverso la metafora di La valorosa temeraire e Il declino dell’Impero cartaginese. Ma decisamente avvincenti sono le “chiacchiere” sulla luce: tutti i dipinti dovevano fare i conti con quella naturale, non come ora che le lampade possono aiutare a vedere meglio, ma possono portarci anche fuori strada.
Wiseman ci porta per mano all’interno di un’istituzione, lascia che affiori tutta la curiosità e la voglia di osservare meglio le opere d’arte, anche quelle che non ci piacciono, come sottolinea magnificamente un responsabile, perché il compito non è solo quello del piacere dell’arte, ma quello della comprensione, della comunicazione che investe diversi piani dell’essere uomini. Forse per questo poi Wiseman riprende il balletto (Machine – Miserere Mei di William Byrd) di fronte a due quadri di Tiziano dedicati a Diana, allarga il campo, crea incroci, ma non esce dal Museo, perché si tratta di un evento voluto dalla stessa National Gallery in occasione della mostra Metamorphosis.
Soltanto mercoledì 11 marzo (dopo essere stato l’antipasto del Bergamo Film Meeting, presentato nei giorni scorsi per festeggiare la riapertura dell’Accademia Carrara di Bergamo) National Gallery viene presentato come evento in diverse sale (info www.nexodigital.it ).
Vale davvero la pena di organizzarsi, trovare quelle tre ore per scoprire come dietro le mostre e le esibizioni di una grande istituzione come la National Gallery ci sia molto di più di quel che appare.