Nel multiverso surreale dei Daniels accade di tutto. E ovunque

In Cinema

Sparatorie, kung fu e spiegoni fantascientifici. Ma “Everything, Everywhere All At Once” di Daniel Kwan e Daniel Scheinert, più noti come i Daniels, non è un film Marvel vero e proprio. Si, c’è un bagel gigante che vuole inghiottire il mondo e che solo una tintora sino-americana di mezza età può sconfiggere, ma qui siamo soprattutto di fronte a un gran mix dissacrante. Supportato da un cast affiatato con Michelle Yeoh e Jamie Lee Curtis in testa. E più di un gradito ritorno dal fantasy classico

Il mondo come lo conosciamo è prossimo al collasso, inghiottito da un bagel nero gigante che risucchia ogni linea temporale. L’unica eroina in grado di impedirlo è una sino-americana di mezza età, proprietaria di una lavanderia, indietro con le tasse e imprigionata in una famiglia che più sgangherata non si può. Cosa succede quando si tira troppo la corda con acrobazie narrative su universi paralleli, realtà alternative e simili? La risposta è nel titolo del nuovo film prodotto, guarda caso, dai fratelli Anthony e Joseph Russo, di scuola Marvel: succede di tutto, dappertutto, e tutto quanto assieme, ovvero Everything Everywhere All At Once.

Se siete tra quelli che già rimpiangono i deliri di Loki e Doctor Strange nel multiverso della follia, o tra coloro che attendono con ansia il prossimo Ant Man and the Wasp: Quantumania, la pellicola dell’eclettica coppia di registi semi-indipendenti Daniels (all’anagrafe Daniel Kwan e Daniel Scheinert) sarà quantomeno un’ottima variazione sul tema. Attenzione però: nonostante i richiami a un certo filone narrativo della Casa delle Idee siano più che evidenti, Everything Everywhere All At Once non è in alcun modo un film Marvel. È vero, ha dei momenti colorati e fumettosi alla Spider-Man: Un nuovo universo, ma la maggior parte delle due ore abbondanti di proiezione è piuttosto un mix tra il dissacrante Kevin Smith di Dogma e L’arte del sogno di Michel Gondry con i suoi effetti speciali rigorosamente fatti a mano. Il tutto, ovviamente, condito da folli spiegoni fantascientifici e girato senza tregua a colpi di sparatorie e kung-fu.

Ma al netto di paragoni rigettati dagli stessi registi, che sostengono di aver iniziato a lavorare sull’argomento “universi paralleli” ben prima della sbornia cinematografica degli ultimi anni, l’assurdo cocktail finisce per funzionare a meraviglia, almeno stando al successo di pubblico (circa 100 milioni di dollari fin qui al botteghino, miglior incasso di sempre per la casa di produzione indipendente A24) e di critica. Il merito, oltre che dello stile visionario da videoclip a tradire le origini artistiche di Kwan e Scheinert, è indubbiamente anche di un cast perfettamente credibile e capace di prendersi, nonostante tutto, terribilmente sul serio. 

In cima alla lista c’è, ovviamente, Michelle Yeoh, star assoluta del cinema d’azione asiatico e non solo, visto che nel suo sconfinato CV, oltre a ruoli principali in pellicole ormai celebri come La tigre e il dragone, figurano anche apparizioni in numerose produzioni a stelle e strisce, tra cui Memorie di una geisha, Il domani non muore mai, il recente cinecomic Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli e il prossimo Avatar – La via dell’acqua. Grazie anche a un passato da ballerina che le permette di eseguire in prima persona ancora oggi, a 60 anni, gli stunt delle scene d’azione a cui prende parte, è stata definita dalla critica specializzata “una delle più grandi eroine d’azione di tutti i tempi”.

Al suo fianco, due più che graditi ritorni per i nostalgici del film d’avventura anni ’80: Ke Huy Quan, l’indimenticato Data de I Goonies e Short Round di Indiana Jones e il tempio maledetto, di nuovo su un set a più di vent’anni dal ritiro dalle scene e ancora in forma come se non fosse passato un giorno, e James Hong, già cattivissimo Lo Pan in Grosso guaio a Chinatown.  Proprio tra i cattivi, invece, oltre alla bella sorpresa Stephanie Hsu, diverte e si diverte anche Jamie Lee Curtis, imbruttita ad arte in versione impiegata statale/terminator, tra dita a forma di wurstel (letteralmente!) e improbabili citazioni da Matrix.

Al di là del godibilissimo delirio visivo e dell’ottima colonna sonora composta dalla band post-rock Son Lux, in Everything Everywhere All At Once non mancano comunque anche aspetti più seriosi e riflessivi: l’intera, surreale vicenda altro non è che la metafora dell’incomunicabilità (a partire da lingue e dialetti parlati dai protagonisti nella versione non doppiata) tra genitori e figli, che attraversa soprattutto le famiglie di migranti da una generazione all’altra. Il multiverso dei Daniels non è il rimpianto per ciò che non è stato, ma la dimostrazione che non è mai troppo tardi per imprimere alla vita, e al suo intrecciarsi di percorsi e relazioni con chi ci sta a cuore, nuove e imprevedibili direzioni. Le realtà alternative esplorate dalla protagonista, timida prima e battagliera poi, sono l’antidoto all’odierno imperare di nichilismo e qualunquismo nel quotidiano: perché ogni scelta, anche quella in apparenza più insignificante, può contare davvero se presa con coraggio. 

Everything Everywhere All At Once dei Daniels, con Michelle Yeoh, Ke Huy Quan, Stephanie Hsu, Jamie Lee Curtis, James Hong, Jenny Slate.

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