Scene madri da un matrimonio

In Cinema

Nel didascalico “Nessuno si salva da solo” di Castellitto-Mazantini, Scamarcio e Trinca si aggirano tra amore assoluto, odio feroce e un mare di quotidianità

Una coppia al ristorante, candele sul tavolo e atmosfera romantica. Ma di romantico non c’è nulla nella distruzione di un amore: ne sanno qualcosa Gaetano (Riccardo Scamarcio) e Delia (Jasmine Trinca), che in Nessuno si salva da solo di Sergio Castellitto, dopo dieci anni e due figli insieme si ritrovano a contemplare i cocci di un matrimonio finito male mentre cercano di programmare senza scannarsi le vacanze estive dei bambini.

Come due naufraghi capitati per caso sulla stessa scialuppa, si rinfacciano errori e delusioni, tradimenti e promesse mancate. E sembrano pronti ad affogarsi a vicenda in un oceano di rancore.

«L’amore che strappa i capelli è perduto ormai», cantava De Andrè, ma non rimane nemmeno qualche svogliata carezza, solo astio e indifferenza. E la cosa che più fa male, è quella sorta di doloroso stupore che ti prende a un certo punto e ti fa dire: ma come ho fatto a pensare che proprio tu eri l’amore della mia vita, la donna da sposare, l’uomo con cui mettere al mondo dei figli? Come ho potuto essere tanto stupido/a?

Il modello “c’eravamo tanto amati” è un classico al cinema, come in letteratura, e spesso funziona, a patto di riuscire a far scattare il meccanismo di identificazione con i protagonisti. Nel terzo film diretto da Castellitto e tratto da un libro della moglie Margaret Mazzantini, è proprio questo meccanismo benefico che funziona solo a tratti.

Sono i momenti in cui Gaetano e Delia davvero si amano davanti ai nostri occhi, fino a «spezzare le vene delle mani e mescolare il sangue col sudore», come cantava Ivano Fossati. E all’opposto quelli in cui i due protagonisti davvero precipitano nel baratro del dolore, si smarriscono nelle umilianti crepe della vita quotidiana, perdono di vista ogni possibilità di salvezza, insieme come da soli.

Momenti di autenticità che regalano brandelli di emozioni, ma che durano troppo poco, giusto una manciata di scene. In tutto il resto del film Scamarcio e Trinca fanno decorosamente il loro mestiere, immedesimandosi di volta in volta in due giovani innamorati e due adulti amareggiati, urlano e sospirano, ridono e litigano con una certa convinzione, ma a noi del loro destino non importa nulla.

E non è colpa degli attori, piuttosto di una sceneggiatura che non si fida di se stessa: costruendo la storia a partire dalla fine, potrebbe tranquillamente permettersi qualche ellisse, una certa dose di non detto, ma invece decide di appiccicare a ogni inquadratura la relativa didascalia, come se fosse necessario spiegare tutto, ma proprio tutto, dai sintomi dell’anoressia al rapporto fra amore e cibo.

Una compulsione didascalica che arriva al culmine nella scena che vede protagonista Roberto Vecchioni nei panni del vecchio saggio (innamorato di un’incantevole Angela Molina) al quale viene assegnato il compito di spiegare il titolo. Caso mai non l’avessimo capito!

Nessuno si salva da solo, di Sergio Castellitto, con Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Anna Galiena, Massimo Bonetti

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