“La fiera delle illusioni”, storia di magia e disperazione nell’America della Grande Depressione, è un oggetto complesso: stilisticamente perfetta, è una parabola crudele e beffarda, che piange e soffre sulla sorte umana, ma rivela anche un’indole glaciale. E nemmeno il grande cast, da Bradley Cooper a Cate Blanchett, da Toni Colette a Rooney Mara a Willem Dafoe, riesce davvero a bucare lo schermo
Si materializza all’improvviso in un affollato luna park, il protagonista di La fiera delle illusioni– Nightmare Alley, il nuovo film di Guillermo Del Toro, col passo stanco del vagabondo e lo sguardo acuto dell’uomo che ha fame di tutto, e non si accontenterà di un pasto caldo e un tetto sulla testa. Si chiama Stanton Carlisle (Bradley Cooper) e arriva dal nulla, lasciando dietro di sé una casa in fiamme e un passato di cui sappiamo poco ma possiamo intuire molto. Attraverso i suoi occhi scopriamo a poco a poco un piccolo mondo di giostrai, nani e giocolieri, imbonitori senza scrupoli, maghi e cartomanti. Ed è proprio Zeena (Toni Collette), abile nella lettura dei tarocchi e del cuore degli uomini, la prima ad accoglierlo e aiutarlo, insegnandogli i rudimenti dell’arte magnifica e pericolosa del creare illusioni, giocando con le aspettative degli altri e con il grande impasto di desideri e paure che si cela nelle pieghe oscure di qualunque anima, anche la più pura e gentile. Come quella di Molly (Rooney Mara), la “ragazza elettrica” pronta a seguirlo in qualunque avventura, in nome dell’amore e del sogno di un avvenire migliore, lontano dalla polvere delle fiere di provincia fin dentro il cuore scintillante di Manhattan.
Nella sua ambiziosa cavalcata, Stan rivela una straordinaria capacità di “leggere” persone e situazioni, sfruttando a proprio vantaggio sofferenze, dubbi, sensi di colpa, scivolando a poco a poco dal terreno tutto sommato innocuo del mentalismo a quello ben più pericoloso dello spiritismo. Finché la sua strada si incrocia con quella della psicologa Lilith Ritter (Cate Blanchett), abilissima manipolatrice nella cui gelida ragnatela finirà col lasciarsi invischiare, in un’inarrestabile spirale autodistruttiva.
Più che un remake del film del 1947 firmato da Edmund Goulding e interpretato da un magnetico Tyrone Power, il film di Del Toro vuole essere una rilettura del carnival noir di William Lindsay Gresham, un romanzo del 1946 uscito di recente anche in Italia con il titolo originale Nightmare Alley (Sellerio, traduzione di Tommaso Pincio). Le somiglianze fra i due film restano comunque molte, sia dal punto di vista dell’intreccio (a parte il finale edulcorato imposto dai produttori al film del ‘47), sia da quello del tono complessivo della messa in scena.
Curiosamente, del tutto simile sembra avviarsi a essere anche il destino commerciale dei due film. Quello di Goulding fu un sonoro flop nonostante la presenza di un Tyrone Power all’apice della notorietà. Il film di Del Toro negli Stati Uniti ha incassato finora soltanto 9 milioni di dollari, a fronte di un costo di circa 60. Un insuccesso che ha spinto Martin Scorsese a spendersi in un accorato endorsement. In una dichiarazione resa pubblica pochi giorni fa il regista italoamericano si è infatti chiesto se all’origine del flop non ci sia l’etichetta di film noir frettolosamente appiccicata e la conseguente aspettativa di un puro e semplice pastiche, un omaggio a un genere e a un’epoca passati.
E ha spiegato pazientemente che il senso del nuovo film del suo amico Guillermo non è da ricercarsi in una questione di stile, ma nella scommessa ben più ardita di parlare del nostro presente drammatico e desolato raccontando la desolazione e la disperazione dell’America negli anni tra la Grande Depressione e la Seconda guerra mondiale. Insomma, non un’operazione calligrafica, di mera superficie, ma un film con un’anima. Un’anima che piange e soffre, e cerca inutilmente una via d’uscita dal labirinto, costruendo illusioni che possono rivelarsi maledettamente pericolose. Scorsese ha ragione: Nightmare Alley un’anima ce l’ha, ma è un po’ un’anima divisa in due. Un’affascinante storia noir stilisticamente impeccabile ma dal cuore un po’ glaciale (proprio come il personaggio incarnato da Cate Blanchett) convive infatti con il racconto barocco e quasi fiabesco di un universo popolato di freaks, al tempo stesso ripugnanti e degni di amore.
Il talento di Del Toro è indubbio, ma questa volta il regista messicano sembra un po’ incerto sulla strada da prendere. Il risultato è un film trascinante, inquietante, con attori strepitosi ma che non riescono a dar vita a nessun personaggio davvero capace di bucare lo schermo. Nemmeno il protagonista, al centro di una parabola crudele e beffarda: tanto abile nel manipolare gli altri, tanto presuntuosamente sicuro di sé, da cadere nella “trappola al miele” più banale che c’è. E forse anche Guillermo Del Toro è in fondo caduto in una trappola: quella di innamorarsi del proprio racconto al punto da smarrirsi tra le sue spire, perdendo di vista il senso complessivo dell’operazione e confezionando un film curiosamente in bilico fra il troppo e il non abbastanza, fra il gusto macabro e morboso ma paradossalmente vitale della prima parte, che rientra a pieno titolo nel filone del cosiddetto horror circense, e le raggelate inquadrature della seconda parte, che si configura come una stilizzata opera noir. Un film che si propone come un oggetto complesso, forse inevitabilmente destinato a scarso successo in tempi incerti come i nostri, dove la richiesta di parole d’ordine immediate e slogan facili è sempre più diffusa.
La fiera delle illusioni– Nightmare Alley, di Guillermo Del Toro, con Bradley Cooper, Cate Blanchett, Toni Collette, Rooney Mara, Willem Dafoe, Richard Jenkins, Ron Perlman, David Strathaim