Giuseppe Battiston ci racconta del suo viaggio immaginifico nel Friuli di Pier Paolo Pasolini (e suo), alla ricerca della parola e dell’emozione
Giuseppe Battiston è uno dei guru di cinema e teatro italiani del momento. È l’attore presente, il personaggio che fa la scena (e fa anche sala), è il friulano giusto per portare a teatro un giovane Pasolini. Lo abbiamo visto in scena a marzo al Piccolo Teatro con La morte di Danton di Büchner e ora torna a Milano con le poesie dialettali del Pasolini friulano, dal 19 al 23 aprile al Teatro Franco Parenti. Con Non c’è acqua più fresca Battiston non solo si fa voce dei versi sulla vita rustica del poeta di Casarsa, ma esplora, da ideatore del progetto, una dimensione che è vicina alla sua stessa infanzia.
È infatti definito un viaggio di ritorno alla terra di temporali e primule questo lavoro dell’attore originario di Udine. È un ritorno alla terra, ai tempi dell’infanzia e alla lingua, a quella lingua che è radice e che per Pasolini rappresentava il mondo di cui si faceva portavoce. Oggi per Battiston questa lingua è colonna portante di un’esperienza, di un’epoca vissuta e che rivive attraverso la sua forma dialettale. “È stato come tornare bambino”, afferma il protagonista, nonostante ammetta il ritardo con cui ha riscoperto la raccolta pasoliniana La meglio gioventù: “La prima volta che lessi le poesie in friulano di Pasolini ero un ragazzo, uno studente, le trovai difficili, le lasciai lì… Poi negli anni – come accade spesso con le cose messe da parte o lasciate sul comodino – ritornandoci, compresi perché, da ragazzo, inconsapevole, immaturo, forse, non mi era stato possibile comprendere quei versi, che invece parlavano a me dei miei luoghi, i luoghi della mia infanzia. Quelle parole così mie, quei suoni, proprio quelli di mio padre, quella lingua che si parlava a tavola, mi raccontavano quella terra di feste e sagre paesane, di vento, di corse in bicicletta a perdifiato, di colori, suoni e profumi, e di quell’acqua”.
Quell’acqua che è la più fresca, come fresco è il Battiston di oggi, che con vent’anni di carriera alle spalle può però sostenere la responsabilità di portare in scena il Pasolini conterraneo: “i miei ricordi invece di assumere i toni malinconici del passato, si sono ravvivati, fatti nuovi, simili a sogni, e ho così immaginato di poter raccontare un aspetto di quella vita e di quel tempo che nella poesia di Pasolini si fanno memoria collettiva”. E il dialetto friulano rimane il cuore di questa memoria e della messinscena: “ciò che vorrei fare è trasmettere quelle parole che ho sentito tanto mie, a cui in qualche modo appartengo. Forse non tutte saranno comprensibili, ma sono convinto che il dialetto, ogni dialetto, attraverso la sua musicalità diventi evocativo, anzi, Pasolini sosteneva che quando il dialetto viene utilizzato per esprimere alti concetti e alti sentimenti si fa Lingua, e con i suoi suoni ci entra nell’ anima e ci porta altrove”.
(Immagine in evidenza di Luca d’Agostino/Phocus Agency © 2015)