“Non ho ancora finito di guardare il mondo” di David Thomas è una piccola enciclopedia dell’umano, un annovero dei dettagli di cui spesso non ci accorgiamo ma che non facciamo fatica a riconoscere quando ci vengono posti davanti agli occhi. Ne abbiamo parlato con l’autore
«La vita secondo me non ha alcun senso, glielo diamo noi attaccandoci alle piccole cose. Prendiamo il XX secolo, quello più assurdo: ci sono state guerre e genocidi. I miei avi ne sono stati testimoni e mi hanno trasmesso tutto l’orrore di quei giorni. Per salvarsi ci si può solo aggrappare ai dettagli, reali e assurdi, e avere uno sguardo di sbieco sulla realtà. Cercare il comico».
Non ho ancora finito di guardare il mondo, edito da Marcos y Marcos, è proprio questo: una piccola enciclopedia dell’umano, un annovero dei dettagli di cui spesso non ci accorgiamo ma che non facciamo fatica a riconoscere quando ci vengono posti davanti agli occhi. David Thomas è a Milano per presentare il suo ultimo lavoro all’Institut Français e avendo un paio d’ore libere, si è unito a un gruppo ristrettissimo di blogger e giornalisti, invitati dall’ufficio stampa, per una merenda chiacchierata a base di macarons e vino francese nella stupenda sede di uno dei più vivaci editori indipendenti milanesi: Marcos y Marcos.
David Thomas gioca la figura di uno scienziato che, occhio al microscopio, riesce a sezionare le emozioni dividendole in una varietà ampissima, tutte descritte in maniera così reale e veritiera da rendere impossibile a chiunque di non riconoscere situazioni personali vissute nel quotidiano.
‘Piccoli quadri umani’, così li descrive. Nel dipingerli, utilizza una scrittura a tratti privata e a tratti pubblica, intesa come il cogliere un attimo del mondo esterno: «È sia invenzione che realtà vissuta. Maggiormente la prima, che di privata ci sarà un quarto forse. Parto da una frase, da qualcosa che vedo o sento. Quello che provo». Eppure, nonostante il titolo scelto per quest’ultima raccolta di racconti (ultima edita in Italia, in Francia son appena stati pubblicati un altro romanzo e un’altra raccolta), non c’è niente di più che vorrebbe vivere da mettere per iscritto. Anzi, la cosa lo imbarazza. Trova che scrivere della propria vita sia un modo isterico di fare lo scrittore, poco spontaneo: ci si sforza a vivere per scrivere. «Io ho una vita noiosissima, mi occupo di mio figlio e scrivo. È tutto. Aspetto senza provocare nulla. In Francia è abbastanza diffusa in realtà come modalità ma non fa per me. Soprattutto perché finirei per essere poco oggettivo nel giudicare i fatti: io sarei il buono e tutti gli altri i cattivi, uno contro tutti».
David Thomas esordisce nel 2009 con La pazienza dei bufali sotto la pioggia, dopo alcune commedie teatrali, per cui gli viene assegnato il Prix de la Découverte dalla Fondazione Principe Pierre di Monaco. Nella prima raccolta, come nella seconda (che è quella che ritiene meno riuscita), si posa sui personaggi nel frammento di tempo in cui sono soli e vi si immedesima, scrivendo in prima persona. «I miei personaggi sono persone misere, tutti lo siamo, miseri. Il mio non è pessimismo ecco, forse solo un po’, ma è voglia di raccontare l’umanità più che semplici storie e l’umanità va così. Alcuni vengono caratterizzati per un modo di parlare più formale, scegliendo le parole adatte, contestualizzandole alla forma scritta mentre per altri uso direttamente la forma orale, evito persino di usare la negazione in maniera corretta (ne + verbo + pas).
Personaggi che si sentono come dei rifiuti ma sono spinti dalla volontà di ricominciare e di seguire i propri sogni». Ché nella vita si vive sempre di sogni. Edita con 70 racconti, la raccolta Non ho ancora finito di guardare il mondo lo aveva portato però a scriverne circa 200. Ne ha eliminati più della metà scegliendo quelli che racchiudessero al meglio e in breve, vite intere. Poi ne ha scelto l’ordine che reputa uno degli elementi più importanti. «Sposto tutti i mobili della casa per fare abbastanza spazio da poter mettere tutti i racconti per terra ed avere una visione d’insieme, dall’alto. Ne pesco uno ad uno e nell’ordine finale sbaglio di uno, massimo due racconti».
Sa che il lettore può leggerli nell’ordine che preferisce, anche casualmente, d’altronde sono brevissimi, ma lui preferisce alternarne uno triste ad uno più gioioso, per esprimere al meglio l’essenza della vita stessa.
A proposito del lettore, dice che è un elemento che non interferisce minimamente con la sua creazione. Non ci pensa proprio. D’altronde, se lo facesse si ritroverebbe a scartare ogni cosa. Quando ha finito di scrivere il primo libro e lo ha inviato a diversi editori, ad ognuno piaceva un racconto diverso. Questo si, questo no, questo è super e poi per un altro era tutto il contrario. Si alza e prende da bere, il discorso si sposta sulla tecnologia.
Ecco, a lui, per sistemare il computer, serve l’aiuto di qualcuno, per non parlare dell’e-book in cui non vede alcun fattore capace di competere con il libro, il vero oggetto che rende la lettura ‘diversa’.
E Amazon, quello no, proprio non gli va giù: maltratta i lavoratori e uccide le librerie. «Quando è uscito il mio primo libro, in Francia, ho lanciato un appello: NON COMPRATE IL LIBRO SU AMAZON MA NELLE LIBRERIE».
Un’affermazione da standing ovation.