Il motto “meglio soli che male accompagnati” non vale per l’Adriana di Annibale Ruccello, vittima consapevole di un mondo che pare congegnato apposta per stritolarla
La questione dell’oppressione della donna non potrà mai dirsi abusata – nei media spettacolari – finché il fenomeno stesso non avrà cessato di esistere. Come l’Idra, il celeberrimo mostro policefalo della mitologia classica, questo tema si manifesta ogni volta con dei nuovi volti; in virtù di ciò, gli autori e le autrici, ciascuno con il proprio medium d’elezione, hanno la massima libertà di movimento per “aggredire” le varie diramazioni dell’argomento.
In Notturno di donna con ospiti (1982), Annibale Ruccello affronta il “mostro” su più fronti, partendo da uno dei suoi volti più spaventosi: la paura della solitudine, che è anche la principale debolezza della sua (anti-)eroina Adriana, interpretata in questi giorni (fino al 13 ottobre) con gusto infallibile da Arturo Cirillo sulle tavole del Teatro Menotti, nella rivisitazione del testo (adattato con alcune grosse ma non gratuite licenze) proposta dal giovane regista Mario Scandale.
Adriana è una casalinga napoletana piccolo-borghese e gravida, la quale diventa prigioniera in casa propria di un gruppo di individui mendaci, volubili e aggressivi (un uomo e due donne, interpretati con perfida ironia dal ruffianissimo Giacomo Vigentini, l’annoiata Giulia Trippetta e l’imprevedibile Giulia Gallone). Costoro – in combutta con l’ambiguo consorte di Adriana – penetrano nel suo appartamento col pretesto di volerla festeggiare per essere stata cliente dell’immaginaria boutique “La Feconda” nella quale Adriana non è neppure mai entrata.
Chi sono i persecutori di Adriana? Sono personaggi concreti o astratti? Con buona probabilità sono la materializzazione dell’immaginario pubblicitario al cui bombardamento Adriana è sottoposta quotidianamente, quando il marito è al lavoro e i suoi due bambini (che non vedremo mai) dormono. Questi “fantasmi” utilizzano le informazioni che Adriana gli ha incautamente fornito (altro tema caldissimo) per creare con lei un’illusoria parvenza di familiarità, cavallo di Troia che permette loro di schiavizzarla. La metafora è cristallina: la società dei consumi illude la donna di essere una sovrana dal potere decisionale illimitato, che può scegliere tra le primizie del suo regno. In realtà il rapporto di potere è esattamente l’opposto: sono le cose a possedere lei, e non viceversa.
Dall’ingresso degli aguzzini in avanti, Adriana rivive le tappe che l’hanno condotta a perdere la propria autonomia mentale e materiale: è perseguitata dagli spettri di “mammà”, una tiranna che le ha inculcato la sudditanzapsicologica e la sottomissione sessuale, e di un padre burattino che è riuscito a infonderle appena un po’ di calore umano. Da ultimo, si manifesta una vecchia fiamma di Adriana, un delinquentello che la espropria dell’ultima illusione di contare qualcosa… se non per se stessa, almeno in quanto madre dei propri figli…
Neppure dopo questa ennesima umiliante rivelazione Adriana avrà la forza di scacciare i suoi persecutori: sarà appunto il timore di rimanere sola una volta per tutte a spingerla a rinunciare all’ultimo spiraglio di autonomia. Al contrario di quanto succede nei film di Almodovar (che la scenografia di Dario Gessati cromaticamente ricorda), Adriana non estrarrà il fatidico cosciotto d’agnello con cui sterminare gli schiavisti come fece Carmen Maura in Che ho fatto io per meritare questo?, né – contrariamente a quanto succedeva in Volver – il cadavere di suo marito finirà nel congelatore. All’opposto, il frigorifero di Notturno sembra invece destinato a continuare a riempirsi di cose che non possono colmare il vuoto interiore di Adriana.
A complicare questo discorso onirico ma lineare, c’è la cornice ideata dal regista Scandale, in cui un oscuro metronotte – tornato nella propria camera d’albergo – si mette un filo di perle al collo, un’ombra di rossetto sulle labbra, lancia in aria un paio di palloncini e, per celebrare il proprio compleanno, si scola una bottiglia di gin, si addormenta e sogna di essere appunto… Adriana.
A prima vista, questa cornice serve essenzialmente a giustificare il fatto che Cirillo interpreti Adriana senza neppure l’ausilio di una parrucca, ma l’attore stabiese è talmente naturale che neppure lo spettatore più cocciuto può vedere in lui altro che una donna. Il senso del prologo e dell’epilogo escogitati da Scandale sta piuttosto nel gioco di rispecchiamento tra due emarginati: il primo (il metronotte) che spasima per non essere più solo, la seconda (Adriana) che, non riuscendo ad emanciparsi tramite la solitudine, si condanna ad essere sola pure in compagnia.
Immagine di copertina: Notturno di donna con ospiti © TieffeTeatro Milano