Il Museo del ‘900 celebra con una mostra l’ingente donazione Bertolini. Opere di qualità indiscussa che sollevano dubbi sul Museo che le ospiterà
Il giovane Museo del Novecento cresce. Non motu proprio, magari con qualche clamoroso acquisto come sarebbe stato a suo tempo la Domplatz, Mailand di Gerhard Richter, ma grazie a una significativa donazione di oltre 600 opere della seconda metà del secolo scorso. Importante per la mole (potrebbe inaugurare un altro museo) ma anche per il contenuto, almeno da quello che risulta visitando la mostra celebrativa Nuovi Arrivi. Opere della donazione Bianca e Mario Bertolini, curata da Cristina Baldacci e Danka Giacon. Le due curatrici hanno selezionato 120 lavori disposti in 4 sezioni: Pop Art, Minimalism and Conceptual Art, una Focus Room su Rodolfo Aricò (Milano 1930-2002) e a concludere i Neue Wilden. È una struttura efficace che riassume esaustivamente una collezione ben più ampia; tuttavia l’allestimento, diviso tra il 4° e il 1° piano dell’Arengario, interrompe bruscamente il continuum espositivo, vanificando ogni intento unitario.
Tant’è: al piano superiore troviamo una bella Marilyn ad accoglierci, sempre sorridente ma non più colorata, con quei grigi bluastri che la rendono tanto meneghina da poterla chiamare “Adalgisa”. Ci sono poi due opere in questa sezione che sono rilevanti per il museo e per la città: la serigrafia raffigurante l’interno della Scala di Richard Hamilton (immaginatela in coppia col coetaneo “Dom” sopracitato!) e Gente che cammina di Mario Schifano, citazione della Bambina che corre sul balcone di Giacomo Balla, appartenente alle raccolte del Museo. Nella stessa sala sono esposte anche opere minimaliste e concettuali, come la serie fotografica Floating: Color di John Baldessari, che immortala ogni volta un cartoncino di colore differente fluttuante davanti a una tipica shingle house americana: giusto tramite tra l’opera di Hamilton, anch’essa intervallata da “coriandoli”, e le due opere di Ed Ruscha Suspended Sheet Stained with Rainwater e Sheet Stained with Motoroil, all’apparenza dei precisissimi acquarelli, se non fosse che sono realizzate con polvere da sparo e olio-motore.
Ma come passare dal gelido concettualismo al divampante neoespressionismo senza subire uno shock termico, seppur giustificato da quattro livelli di scale mobili? La risposta risiede in Rodolfo Aricò, che ha saputo visitare e mitigare queste due temperature in un equilibrio sublime, come nel dipinto Senza titolo del 1965. Senza dimenticare Ricordo: Balla, altra opera-omaggio decisiva per l’identità museale. Così, grazie a questa Brücke arriviamo ai “Nuovi Selvaggi”: e proprio un ponte è il soggetto della tela omonima di Helmut Middendorf, pervasa di blu Klein. Chiude la rassegna Rosa bianca di Jannis Kounellis, negativo del quadro Rosa nera, sempre dello stesso autore e già manifesto del Museo.
La felice novità di questa donazione lascerà l’amaro in bocca se le istituzioni non sapranno reagire a dovere: il Museo del Novecento è uno spazio inadeguato, soprattutto dopo questa vasta integrazione. La collezione Bertolini porta un respiro ampiamente internazionale e contemporaneo, bisognerebbe perciò cogliere l’occasione per ridiscutere un luogo che dopo pochi anni risulta già “datato”.
Nuovi arrivi, a cura di Cristina Baldacci e Danka Giacon, Museo del Novecento, fino al 1 novembre
Immagine di copertina: Richard Hamilton, La Scala Milano, 1968. Courtesy Museo del Novecento