Per raccontare l’irripetibile parabola del mitico ballerino russo “The White Crow”, terzo film da regista dell’attore Ralph Fiennes, parte da un momento-chiave, quello della scelta: quando il 22 enne Rudolph, in tournée europea, il 16 giugno 1961 all’aeroporto parigino di Le Bourget dovette decidere se tornare a Mosca o restare in occidente. Da quel momento la sua vita e la sua carriera mutarono radicalmente. Nel cast del film Oleg Ivenko, giovane danzatore ucraino e Sergei Polunin, ex stella del Royal Ballet
Rudolf Nureyev, protagonista di The White Crow, terzo film da regista dell’attore inglese Ralph Fiennes, sembra nascere sotto una cattiva stella, nel 1938, su un treno della transiberiana dalle parti della gelida Irkutsk, nella Siberia centrale. E cresce anche peggio, ultimo di cinque figli, nella tetra (e sempre gelida) città sovietica di Ufa, 1500 chilometri da Mosca, anni luce da quello che allora veniva definito il “mondo libero”. Ma il talento del piccolo Rudolph non passa inosservato e lo conduce ben presto all’Accademia di danza Vaganova del Teatro Kirov di Leningrado. Nel 1958 ha solo vent’anni ma è già diventato uno dei ballerini più noti in Unione Sovietica. Le sue tournée nelle province russe con la compagnia del teatro Kirov sono trionfali, tanto che gli viene accordato il privilegio all’epoca assai raro di viaggiare al di fuori dei confini sovietici. Una prima volta a Vienna e poi a Parigi, nel 1961, il momento in cui la vita di Nureyev cambierà in modo irreversibile.
Il film di Ralph Fiennes, realizzato a partire dalla biografia di Julie Kavanagh Nureyev: The Life, si concentra in gran parte proprio su questo momento di svolta. E di scoperta. Pur tallonato senza tregua dai solerti agenti del KGB, Rudolph utilizza ogni momento libero dalle prove e dagli spettacoli per girare per la capitale francese con il passo lieve di un danzatore di razza e lo sguardo acuto di un ragazzo intelligente, curioso, affamato di vita e avido di conoscenza. Ha imparato un po’ di inglese e lo usa per comunicare con i suoi amici occidentali, possiede un’energia straordinaria e la usa per andare alla conquista del mondo. Di politica non parla, non gli importa nulla, ma la sua indole anticonformista lo rende immediatamente sospetto agli occhi di chi, come i funzionari del KGB, non si è dato altro compito che sorvegliare e punire chiunque si ribelli all’ortodossia, all’idea che l’ubbidienza cieca debba essere l’unica regola.
E così il giovanissimo Rudolph il 16 giugno 1961 si ritrova all’aeroporto parigino di Le Bourget davanti a una scelta radicale: accettare il diktat del Cremlino, piegare la testa e tornare a Mosca, probabilmente (sicuramente!) per sempre, oppure ribellarsi e restare in occidente. Quell’occidente che negli anni della spietata guerra fredda (ricordiamo che il muro di Berlino venne costruito nell’agosto 1961) è ben felice di accogliere dissidenti in fuga da quello che ancora Ronald Reagan, negli anni Ottanta, chiamava l’impero del male. Ma Nureyev si guarderà bene dal diventare una bandiera in mano agli sventolatori di professione: rimarrà per tutta la sua (purtroppo non lunga) vita uno spirito libero, un uomo ribelle alle convenzioni, un ballerino eccezionale.
Per portarlo sullo schermo, Ralph Fiennes (che per sé ha ricavato il ruolo del maestro Alexander Pushkin, mentore e insegnante di Nureyev alla Leningrad Choreography School) ha scelto Oleg Ivenko, un giovane danzatore ucraino che ricorda molto il giovane Nureyev e riesce perfettamente convincente nel rendere la febbrile sete di vita e libertà che muove le scelte del protagonista. Nei panni del suo compagno di stanza, Yuri Soloviev, troviamo il magnifico Sergei Polunin, ex stella del Royal Ballet e recente protagonista di un docu-film (Dancer) assolutamente da recuperare, se non lo avete visto e vi piace la danza. Nel cast spicca anche l’affascinante Adèle Exarchopoulos (indimenticabile in La vita di Adele) nei panni di Clara Saint, grande amica di Nureyev ma soprattutto fidanzata del figlio dello scrittore André Malraux, all’epoca ministro della cultura, e quindi in grado di aprire al ballerino sovietico le porte della vita intellettuale e mondana della capitale francese.
Ralph Fiennes forse non rivela in questo film straordinarie doti registiche, ma riesce in un’impresa tutt’altro che facile, quella di entrare nel territorio del biopic, genere fin troppo frequentato, e spesso malamente, in punta di piedi ma con le idee chiare. Sceglie un momento-chiave e a partire da quello costruisce (e illumina) il resto, affidandosi a un’idea forte, la danza come combinazione precaria ma indissolubile di controllo assoluto e sfrenata esuberanza. Il risultato è un film pieno di energia, controllato e trascinante al tempo stesso, che non pretende di dire parole definitive su una parabola esistenziale decisamente fuori dal comune, ma riesce a trasmettere tutto l’insuperabile fascino di un personaggio davvero bigger than life.
Nureyev – The White Crow di e con Ralph Fiennes, e con Oleg Ivenko, Adèle Exarchopoulos, Chulpan Khamatova, Aleksey Morozov, Sergei Polunin