La celeberrima commedia di Aristofane col Teatro Due di Parma, seguendo il progetto: ma in scena troppi consolidati stereotipi sull’eterna corruzione e il ruolo dell’artista
Una sperimentazione genetica non così inverosimile dà vita al mostro Strepsiade, nato dall’incontro dei DNA dell’imprenditore veneto medio, di Berlusconi, di Bossi e delle rispettive caricature di Crozza e all’altrettanto riprovevole Fidippide, inevitabile figlio di questa altisonante classe dirigente.
Lo spettacolo, un adattamento (di chi è la traduzione? di chi sono le aggiunte?) delle Nuvole di Aristofane, è uno specchio impietoso dei vizi della polis-nazione contemporanea. Questo è anche il principale punto di forza della nuova produzione dell’Ensemble di attori del Teatro Due di Parma: siamo così corrotti da aver corrotto anche la filosofia, ridotta a mero strumento dei più forti; accusare la nostra meschinità con la potenza di un classico non può che risultare un’operazione teatrale vincente.
Artisti di strada ciancicati, giullari di una corte tramontata, i comici entrano in scena trainando il loro carrozzone, una magica Mercedes Benz degli anni ‘80 azzurrina fosforescente, e iniziano ad allestire lo spazio per la rappresentazione, mostrando al pubblico tutti i segreti del dietro le quinte in una mise en abyme dove tutto è manifesto, persino le pulegge degli effetti speciali finali, e che raggiunge l’apice poetico durante la parabasi, quando un commovente Paolo Bocelli chiede agli spettatori se hanno amato il precedente spettacolo, quello con i palloncini, Le Rane evidentemente, prodotto dalla compagnia nel 2011 e presentato anche a Milano all’Elfo Puccini.
La nostalgia per un passato di cui aveva già nostalgia Fellini, di un artista coscienza della propria gente, è troppo insistita da parte di questi teatranti ormai costretti a esibirsi in fatiscenti circhi di periferia, malinconici come i saltimbanchi di Picasso.
Intorno a questa pesante atmosfera si sviluppa l’estetica delle Nuvole di Parma, sostenuta dalle note simil Nino Rota e dalle voci delle due attricicantanti nel ruolo del coro, appunto. Le povere Cristina Cattellani e Laura Cleri sono avvolte negli ennesimi abiti da sposa vintage della prosa italiana e sono relegate a vallette di scena, oggetto di continue gag maschiliste, giustificate magari dall’originale greco, ma davvero tanto facili.
Ed è proprio la volgarità maldestra la debolezza di questo lavoro, una trasposizione che, pur esplorando l’anima pop di Aristofane, strizza l’occhio in modo estenuante alla comicità televisiva, alle interpretazioni sopra le righe, agli effetti speciali.
Non mancano, certo, soluzioni efficaci, la neve nell’ultima scena, o momenti di poesia, soprattutto da parte di Marcello Vazzoler. Ciò che manca, però, è l’armonia generale: Le Nuvole sono frutto di un lungo lavoro di stesura da parte del commediografo greco e forse qui sono liquidate con un po’ troppo mestiere.
Eppure lo spettacolo piace, piace molto. Il pubblico, tanti studenti, si è divertito, ha riso, ha riflettuto, si è sorpreso.
Io invece prendo una cicuta.
Le Nuvole di Aristofane, in scena al Teatro dell’Elfo fino al 29 marzo