“Oltre la notte”, film n. 11 del regista tedesco (di origini turche) Fatih Akin, ha vinto il Golden Globe 2018 per la miglior pellicola straniera e ha regalato, all’ultimo Festival di Cannes, la Palma d’oro per la miglior attrice alla sua bravissima protagonista. Katja, rimasta vedova e priva del figlio di otto anni dopo un attentato razzista, cerca giustizia, ma senza riuscirci, portando gli evidenti colpevoli in tribunale: disperata, sceglierà, pur con qualche dubbio, la strada senza ritorno della vendetta
Esce a quasi un anno dalla sua applaudita apparizione al Festival di Cannes, dove la protagonista Diane Kruger ha avuto la Palma per la miglior attrice, Oltre la notte, vincitore dell’ultimo Golden Globe al miglior film straniero e lungometraggio n. 11 di Fatih Akin, talentoso 44 enne regista, sceneggiatore, produttore e attore nato in Germani da genitori turchi. Scoperto dal pubblico internazionale nel 2004 al suo quarto film, La sposa turca, da allora è stato autore di titoli interessanti e di diversa isprazione, dal musical Crossing the Bridge al dramma politico Ai confini del paradiso, dalla divertente commedia Soul Kitchen, ambientata come quest’ultimo nella sua città natale, Amburgo, allo storico Il padre, sul genocidio armeno. Fino ai recenti, e sostanzialmente inediti in Italia, Garbage in the Garden of Eden, che racconta il conflitto tra le autorità turche e i cittadini di un paesino sul Mar Nero, scelto come destinazione di un traffico di rifiuti e Tschick, complesso “romanzo di formazione” di cui è protagonista un 14enne ragazzo disfunzionale berlinese nella sua relazione con un coetaneo immigrato russo, sbandato come lui. Entrambi sono di ambientazione contemporanea
Oltre la notte è tecnicamente per tre quarti un giallo politico-giudiziario, con un finale che rafforza il suo risvolto esistenziale. È già difficile la vita di Katja (Kruger), prototipo borderline di una contemporaneità femminile non risolta, tra uno stile di vita alternativo, una maternità impegnativa e un matrimonio con luci e ombre da affrontare quotidianamente. La sua esistenza esplode però quando il marito Nuri (Numan Acar), immigrato turco di origine curda, e il figlioletto Rocco sono uccisi da una bomba fatta esplodere davanti all’ufficio di lui, uomo impegnato nel sostegno di migranti in difficoltà come consulente fiscale, traduttore, agente di viaggio. Gli amici e le famiglie cercano di aiutarla ad affrontare il lutto, ma presto, e questo cambierà la prospettiva della donna, la ricerca dei responsabili e delle ragioni di questo gesto crudele e insensato porteranno a un’organizzazione suprematista bianca, la Nationalsozialistischer Untergrund, nota come NSU, fatta di revanscisti hitleriani, che anche nella realtà si rese responsabile di molti omicidi a sfondo razziale in Germania tra il 2000 e il 2007, finendo incriminata per le cospicue prove.
Danilo (Denis Moschitto), avvocato e miglior amico di Nuri, rappresenta Katja nel processo contro due sospettati (interpretati da Ulrich Brandhoff e Hanna Hilsdorf), una giovane coppia che frequenta l’universo neonazista europeo e ha contatti in tutto il continente, soprattutto in Grecia, dove si svolge la parte finale del film. Il processo spinge la donna fino al limite, e la sua ricerca di giustizia alla fine non trova una vera soddisfazione. Da qui la scelta di cercare altrove, e in altro modo, un risarcimento a questo strazio personale, in un percorso che resta individuale ma assume a suo modo le caratteristiche di una, pur estrema, battaglia politica.
Nel raccontare un omicidio ispirato ad eventi razzisti simili accaduti una decina di anni fa, con l’aiuto di Hark Bohm, il co-sceneggiatore che è anche un avvocato, e la colonna sonora curata da Josh Homme dei Queens of the Stone Age, Akin si sofferma sul concentrarsi delle indagini quasi più sulla comunità legata alle vittime che su quella dei probabili assassini. La polizia segue la pista dello spaccio di droga, e le sue connessioni legate al gioco d’azzardo, anche sotto la pressione dalla stampa che asseconda, e a sua volta contribuisce a costruire, un’opinione pubblica sensibile a una pessima percezione sullo “straniero”. Nuri, in questo, è “perfetto”: è curdo, quindi fa parte di un popolo sempre in guerra contro tutto e tutti, si batte attivamente per i diritti degli immigrati e soprattutto in passato ha scontato una pena per possesso di stupefacenti, tanto che lo stesso matrimonio con Katja è avvenuto nel contesto carcerario, e da qui l’ostilità totale della famiglia di lei alla cosa.
Così le indagini delle autorità, le fasi del processo e le reazioni della società civile, rivelano a Katja l’origine di un pregiudizio che ha radici ben più sottili e diffuse della deriva neonazista, e che finisce per radicarsi in qualche modo anche nello sguardo di chi (come il giudice) dovrebbe rappresentare una garanzia per tutti.
Il premio assegnato sulla Croisette all’ottima attrice tedesca lanciata da Troy (era Elena), ma soprattutto da Bastardi senza gloria di Tarantino, e che qui finalmente può recitare nella sua lingua madre, fotografa una prova d’interprete faticosissima e mattatoriale, però matura, in un personaggio tutt’altro che facile da controllare nella sua complicata, e non sempre coerente dinamica di comportamento. Anche perché tutta la forza del film di Akin finisce per risiedere nel volto e nel corpo di Katja/Diane Kruger, che sempre di più, nel corso del racconto, diventa una sorta di suo alter ego.
Fortunatamente, dopo aver dato l’impressione di voler sposare un epilogo “civile”, sicuramente più “accettabile” perché in linea co i principi di un’umanesimo che sa perdonare anche il non perdonabile, il regista finisce invece per restituire il primato all’impulso di un cuore spezzato e non riconciliato, indisponibile a salvare chi le ha distrutto impietosamente la vita e il futuro. Un cuore che a questo punto è bisognoso più di vendetta che di giustizia. È vero, forse l’epilogo per certi versi può avvicinarla ambiguamente ai suoi carnefici, ma evita la sbrigativa e buonista prospettiva della civiltà occidentale che comunque, alla fine, si indirizza sempre verso il progresso. Cosa evidentemente smentita da troppe scelte miopi e retrive, politiche e culturali, sposate oggi dalla maggioranza delle popolazioni del primo Mondo.
Oltre la notte, di Fatih Akin, con Diane Kruger, Denis Moschitto, Johannes Krisch, Ulrich Tukur, Samia Chancrin, Numan Acar, Ulrich Brandhoff, Hanna Hilsdorf