Un progetto di rigenerazione urbana all’ex mattatoio di Atina, nella Valle di Comino in provincia di Frosinone, ha dato vita dal 22 al 23 giugno al festival OLTREMURA con eventi, murales, arte e persone. Teresa Antignani ha presentato qui ALBANOVA, ciclo pittorico e performativo che racconta dei movimenti di tutela ambientale dall’alto Casertano alla piana di Venafro. Un progetto che si ispira a una storia dimenticata, che l’artista ci racconta in prima persona.
Le difficoltà nel riuscire a porre un faro sulle questioni che attanagliano il Meridione d’Italia e le sue aree interne sono ormai cosa nota dalla seconda metà dell’800, così come è nota una certa tendenza tutta contemporanea a far credere possibile una “rigenerazione” o “riqualificazione” attraverso eventi che, senza la necessaria coscienza politica, impattano in maniera effimera, se non dannosa, sulle comunità che si vedono calare, ancora una volta, un destino ed una identità culturale dal piedistallo dei grossi finanziamenti o dei nomi più gettonati nell’ambito di un dominio specifico.
Vita agra quella che si dipana nei piccoli centri di un Mezzogiorno sventrato e depredato o abbandonato per la voglia di cercare condizioni di vita economicamente e socialmente più avvincenti pur di non farsi trascinare nelle spire della controra, se non fosse che è proprio da quel silenzio assordante che le note possono dar vita a melodie potentissime.
Ad Atina, nella Valle di Comino, il 22 e il 23 Giugno è successo qualcosa che ha testimoniato la capacità e la volontà delle comunità di autorappresentarsi e di mettere a fuoco un bisogno impellente di confronto su tematiche che ritornano e si rinnovano generando ogni volta un flusso di connessioni in cui la relazione umana riacquisisce importanza centrale nei processi collettivi. Dal connubio tra la direzione artistica di Oniro e l’associazione Rise Hub è nato Oltremura: un festival alla sua prima edizione che ha riattivato un luogo pubblico precedentemente lasciato in stato di abbandono. Un vecchio mattatoio nel cuore della Valle di Comino si è trasformato in uno spazio di azione in cui differenti pratiche si sono incontrate unite dal filo rosso della dimensione collettiva degli interventi. Murales di Nicola Alessandrini e Jerico Cabrera, installazioni con le opere di Mario De Luca, talk, conferenze, performance hanno scandito il ritmo dirompente di un momento tutto dedicato alle comunità.
È sullo sfondo di questo festival che con Oniro abbiamo deciso di dare corpo ad ALBANOVA: una esposizione di otto opere monumentali del ciclo pittorico omonimo attraverso il quale ho tentato di ripercorrere alcune delle vertenze territoriali che più di altre hanno segnato i movimenti di tutela ambientale dall’alto Casertano alla piana di Venafro. Dalle lotte contro la costruzione speculativa di mega impianti industriali di interesse nazionale, al legame tra donne nelle comunità di Venafro e Taranto che lottano da sempre portando avanti studi che attestano la presenza della diossina nel latte materno, fino alla storia di Carlo e di sua madre Tecla.
Questa mostra è dedicata al dolore delle comunità, alla voglia di riscatto, alla rabbia che non passa.
Perché Albanova?
Albanova è il nome che nel 1927 Mussolini diede all’accorpamento di alcuni dei comuni dell’antica provincia di “Terra di Lavoro” che si estendeva dal basso casertano fino ai confini a nord con Molise e Lazio. L’istituzione di un nuovo comune unificato di nome Albanova costituiva parte integrante di un disegno politico più ampio e di sfacciata indole propagandistica: un segnale preciso per la malavita organizzata che doveva rassegnarsi a scomparire dal Sud e lasciare finalmente posto allo Stato.
Di Albanova in Campania, a seguito della soppressione del comune nel 1946, sono scomparse quasi tutte le tracce, fatta eccezione per la stazione di Casal di Principe e una squadra di calcio locale.
Eppure da oltre un decennio questa parola trova nella mia pratica artistica una cassa di risonanza attraverso pittura, bandiere, stendardi.
È una parola di cui voglio riappropriarmi per ridarla ai miei luoghi di origine nel particolare contesto di una lotta territoriale contro le grosse manovre speculative portate avanti da multinazionali, colossi energetici e impiantistica industriale fortemente impattante a livello ambientale. Questo ciclo pittorico si pone come necessità di resistenza.
Non è un caso che prenda vita proprio ad Oltremura dando risonanza agli spazi recuperati di un luogo che era centrale per la vita della comunità. Come le pitture religiose nate per narrare di gesta utili a entrare nell’immaginario collettivo, Albanova racconta una possibilità di riscatto ritenuta da sempre infattibile, fallimentare o comunque troppo dolorosa da sopportare. Questa possibilità diventa corpo attraverso figure di sante, brigantesse, madri che ci mostrano il volto violento e determinato di una femminilità capace di incidere i destini delle comunità marginali. Fatalismo e rassegnazione al meridione d’Italia sono parte integrante della visione di un mondo che non si vede mai mutare, in cui tutto trasuda uno strano sentimento di nostalgia per qualcosa che ci è stato rubato dalla storia.
Il ciclo pittorico esposto per Oltremura è la traduzione retinica di un riscatto che, passando per teste mozzate e sangue versato, palesa allo sguardo dell’osservatore l’irruenza della morte intesa come processo utile alla nascita di una nuova alba.