Uno spettacolo condotto con intelligenza, affetto, voglia di comprendere ma che non cade mai nel patetico
FOTO © Nicolò degli Incerti
Serena Piazza, la regista, e Fabio Banfo, attore e drammaturgo di Alfredino, l’Italia in fondo a un pozzo, hanno trovato le corde giuste per trasporre sulla scena un argomento così inenarrabile e doloroso, mettendo a punto uno spettacolo che getta nuova luce su questa drammatica vicenda.
L’attore rievoca quei giorni terribili, trascorsi esattamente 40 anni fa, in parte narrando e in parte impersonando singole figure, coppie o addirittura una coralità di individui, come le famiglie o gli abitanti del paese, con notevole abilità.
Al centro del palco, buio e spoglio, c’è una lampadina, che pende sopra una sedia: rappresenterà il pozzo attorno al quale l’attore si muove durante le parti narrate. Lo spazio del palco è utilizzato anche alle estremità, dove sono poste due sedie sulle quali Banfo appare, dopo un istante di buio, per impersonare personaggi secondari o comparse, di cui si colgono immediatamente i tratti principali grazie alla recitazione lievemente caricaturale, perfetta allo scopo, e ai differenti oggetti di scena: una bottiglia di cola, un passamontagna, un casco da speleologo, un sigaro e un cappello, etc. Anche gli effetti sonori sono numerosi e generalmente aderenti alle scene in maniera realistica: dal rumore della sabbia, a quello della trivella, alla sigla di Mazinga, al silenzio accompagnato dal buio.
Banfo introduce la vicenda raccontando di essere nato nello stesso anno di Alfredino e di essersi sentito vicino a questo suo coscritto, di cui non può dimenticare le urla sentite dal televisore della nonna; e così ci riporta alla scena di allora, riproducendo tutte le voci del tempo, a partire da quelle che giravano nei bar e nelle case, anche la sua.
Banfo interpreta gli “avvoltoi”, come il giornalista che non vede l’ora di fare lo scoop della sua carriera.
E poi ci narra degli eroi, come Angelo Licheri, l’uomo minuto, che coraggiosamente si offrì volontario e che si calò per 45 minuti a testa in giù nel pozzo dal diametro di 30 cm. Per scrivere questa parte, Banfo è andato a trovare Licheri, intervistandolo personalmente; ci sono alcuni aspetti dello spettacolo che lo avvicinano infatti all’inchiesta.
Vennero fatti molti errori durante le operazioni di salvataggio e Banfo, interpretando i personaggi stessi o narrandoci i fatti, li illustra amaramente. Ci parla di come il comando di tutte le operazioni fosse stato affidato ad un solo uomo, che fece diverse scelte sbagliate. Ciò che emerge è la mancanza di un qualsiasi criterio o modus operandi in esse: era un andare per tentativi. Correva l’anno 1981 e ancora non c’era un’organizzazione efficiente in caso di sinistri del genere. In quegli anni, inoltre, pozzi artesiani abusivi come quello proliferavano nel Lazio rurale.
Tutta Italia rimase per tre giorni incollata al televisore per assistere a quello che tutti pensavano sarebbe stato il “salvataggio di Alfredino”, persino il Presidente della Repubblica Sandro Pertini – magistralmente interpretato da Banfo in una delle scene finali – si era recato sul posto, “per abbracciare Alfredino” davanti alle telecamere al momento del salvataggio. Come se non bastasse, una folla inaudita era accorsa a Vermicino intorno al pozzo artesiano (si stima più di 10.000 persone), ostacolando ovviamente i soccorsi, ma a quel tempo non si faceva caso a questi aspetti.
Banfo, attraverso le sue multiple voci, rende bene l’idea di come quello di Vermicino fosse diventato uno “spettacolo televisivo nazionale”, a tratti quasi uno “show”, che però, almeno inizialmente, nessuno si aspettava finisse in tragedia.
L’attore ci trasporta nel clima del tempo anche quando impersona due membri delle Brigate Rosse -siamo negli anni di piombo- quasi come fosse un ventriloquo o un marionettista, dialogando con la sua mano incappucciata, con un risultato riuscitissimo.
La grande abilità di Banfo nel far parlare più voci si esplica nel corso dello spettacolo -che non è per niente un monologo, nonostante vi sia un solo attore- e raggiunge il suo apice nelle scene finali, dove grazie a un gioco di ombre cinesi, Mazinga, l’eroe del cartone animato preferito di Alfredino, articola con altri personaggi fantastici un dialogo dai tratti filosofici sulla statistica, la matematica e la morte.
Il culmine del climax emotivo è però affidato alla madre Franca, la voce -interpretata da Banfo – di maggiore sofferenza eppure anche di forza. Fu infatti proprio grazie all’impegno di questa donna che questa triste vicenda trovò uno spiraglio di luce: grazie a lei la Protezione Civile divenne un organo efficace, operativo e addestrato, affinché una tragedia simile non accadesse più.
L’opera, prodotta dal Centro Teatrale MaMiMò, ha vinto il premio come miglior spettacolo e miglior drammaturgia per il Doit Festival di Roma nel 2017 e il premio Fersen alla regia nel 2020 ed è ora in scena al teatro Elfo Puccini di Milano fino al 25 giugno 2021.