Lo svedese d’origine egiziana Tarik Saleh racconta un’intricata e stuzzicante trama noir ambientata proprio nei giorni e nei luoghi che videro l’inizio della rivolta anti-Mubarak. Un maggiore di polizia, pur marcio come tutti, decide a sorpresa di indagare sul serio su un’omicidio in cui è coinvolto un industriale edile, senatore e amico del Presidente. Rischierà la pelle, contro l’intero establishment
Quando pensiamo a un film poliziesco, siamo propensi a vedere i poliziotti come personaggi positivi, salvo la presenza, a volte, di alcuni agenti infedeli e corrotti. Ma questo vale in Occidente: ci sono paesi dove invece essi vengono spesso considerati peggio dei criminali. Di questo soprattutto parla Omicidio al Cairo, pellicola di produzione svedese diretta dal regista Tarik Saleh, nato a Stoccolma ma di origini egiziane.
La storia si svolge nelle due settimane che precedono la famosa rivolta popolare del 25 gennaio 2011: Noredin Mustafa (Fares Fares) è un maggiore della polizia della capitale che deve indagare sull’omicidio di una giovane cantante, avvenuto in un albergo di lusso dove si era vista con il suo amante. Purtroppo le cose si complicano quando, dopo aver trovato foto incriminanti, il maggiore scopre che il possibile mandante, nonché amante della vittima, è l’imprenditore edile e deputato Hatem Shafiq (Ahmed Selim), uomo molto potente e spregiudicato, contro il quale la polizia non vuole mettersi sia per paura che per opportunismo. Noredin si ritroverà a questo punto, per scoprire la verità, a doversi scontrare con un sistema corrotto fino al midollo, mettendo a rischio anche la sua vita e quella di chi gli sta vicino.
Fin dall’inizio della storia, basata su un fatto avvenuto realmente a Dubai nel 2008, un ruolo importante viene giocato dalle mazzette: che si tratti di diffondere o insabbiare notizie, di arrestare o rilasciare sospettati, nel Cairo di Noredin devi sempre dare dei soldi a qualcuno se vuoi ottenere ciò che desideri. Lo spettatore si fa così l’idea di un paese in cui chi è in grado di pagare può fare ciò che crede: al suo confronto la giustizia italiana sembra un faro di civiltà. E un paese, anche, dove chi sa troppe cose rischia la vita, come la giovane Salwa (Mari Malek), rifugiata sudanese e cameriera nell’albergo dove è avvenuto il fatto, nonché unica testimone dell’omicidio.
Non è un caso che il film sia ambientato pochi giorni prima di quella rivolta egiziana che, assieme a quelle in Tunisia, diede il via alle Primavere Arabe: infatti il regista vuole far capire a un pubblico occidentale che, nonostante il loro fallimento sul lungo termine, alla base delle proteste c’erano rivendicazioni legittime. In Europa siamo abituati a dare per scontate certe conquiste, e molti diritti, ma da quelle parti vige invece un sistema basato su privilegi riservati a pochi oligarchi. E forse non è un caso se le rivolte sono scoppiate il 25 gennaio, giorno in cui in Egitto si celebrano le forze di polizia.
Il libanese Fares Fares, che in passato anche recente ha recitato a Hollywood (era nel cast di Rogue One: A Star Wars Story) dimostra un grande talento nell’interpretare un personaggio combattuto, che deve mettere in discussione le proprie certezze per schierarsi contro le élite. Altrettanto brava è Mari Malek, la quale da piccola è davvero fuggita dal Sud Sudan, emigrando negli Stati Uniti. E nel cast c’è pure Slimane Dazi, visto in film francesi importanti come Un profeta e La mélodie. Saleh fa un discreto lavoro a livello di regia e la sceneggiatura, pur non sempre carica di adrenalina come certi thriller Made in Usa, riesce comunque a suscitare emozioni forti nello spettatore. Gran parte delle scene della pellicola sono state girate a Casablanca invece che al Cairo, poiché a causa del tema trattato il film non avrebbe mai potuto vedere la luce se fosse stato realizzato in Egitto. Un motivo in più per indurre lo spettatore a riflettere.
Omicidio al Cairo, di Tarik Saleh, con Fares Fares, Ahmed Selim, Mari Malek, Yasser Ali Maher, Slimane Dazi, Mohamed Yousry