“Il ladro di giorni” di Guido Lombardi racconta di Vincenzo (Riccardo Scamarcio), malavitoso pugliese appena uscito di prigione, che corre in Trentino a prendere quel figlio col quale ha ben poco vissuto. La sua idea è un viaggio di conoscenza, ma dietro i nobili motivi ci sono anche scopi inconfessabili
Con Il ladro di giorni Guido Lombardi , autore nel 2011 dell’interessante La bas, realizza quel progetto crossover al quale stava riflettendo da dieci anni. Dal suo libro omonimo ricava la sceneggiatura, con la collaborazione di Luca De Benedettis e Marco Gianfreda. Il film è un road movie, e come spesso richiede lo stile narrativo tipico di questo genere, vede nel viaggio in auto, lungo i territori del Belpaese, il momento chiave per la riconciliazione con un bambino rimasto a vivere per anni senza suo padre. Il ragazzino è stato costretto a stare dai propri zii, vista la condotta amorale dell’uomo, che non mancherà di dare nuovo spazio a quella parte criminale di sé che già una volta gli ha rovinato la vita.
Vincenzo (Riccardo Scamarcio), piccolo delinquente pugliese, esce di galera dopo sette anni e si dirige verso il Trentino, dove il figlio Salvo (il giovanissimo Augusto Zazzaro), che non lo vede da quando ne avevo quattro, vive serenamente con gli zii ma di fatto soffre la sua assenza. Proprio in quel giorno, neanche a farlo apposta, ha ricordato l’ultima mattinata passata con il padre, in un tema che l’ha portato a guadagnarsi a scuola la coccarda di “primo della classe”.
Ufficialmente, l’idea del viaggio nasce in Vincenzo dalla volontà di vederlo, stare con lui qualche giorno, ma la ragione vera non ha nulla a che fare con l’amore paterno: lui ha sulla sua auto un carico di 70 chili di coca, e il figlio gli serve come copertura, perché «un bambino è meglio di una pistola». E nel frattempo, visto che c’è, ha anche una mezza idea di andare a regolare qualche conto rimasto in sospeso dai tempi del suo arresto. Ma come in ogni road movie che si rispetti, in realtà la fine del viaggio li vedrà entrambi del tutto cambiati. E ritrovati.
Guido Lombardi voleva girare un dramma famigliare. Aveva un padre col passato nella malavita, una madre morta di crepacuore, un figlio che con l’unico genitore rimastogli non voleva aver nulla a che fare. E con cui si ritrova invece a dover trascorrere un viaggio a stretto contatto, e soprattutto una vendetta che aspettava solo il momento d’esser consumata. I presupposti c’erano tutti, ma è la vena tragica del regista che manca, anche nella definizione dei personaggi, che aderiscono troppo banalmente a cliché già sfruttati. I criminali coi quali Vincenzo collabora, gli zii di Salvo e altri figure secondarie come due turiste austriache con le quali padre e figlio si relazionano in alcuni momenti, sono tutti ingenuamente delineati, come stereotipi del loro ruolo.
Location tristi e minimaliste potrebbero anche essere utili all’impianto realistico della trama, ma spesso sembra si tratti di mera trascuratezza della produzione. Alcune idee buone, come la scena in cui Salvo incontra un compagno di malaffare mentre percorre una processione di penitenti, potevano essere meglio espresse: in Puglia e a Matera l’opportunità di scorci suggestivi certo non mancano e utilizzarli anche ai fini della storia avrebbe arricchito l’opera. Insomma Il ladro di giorni, con qualche aggiustamento, avrebbe potuto abbracciare la sua parte comica, riuscendo a migliorare la forma originale. Un’opera molto acerba, questa di Guido Lombardi, in cui le idee buone della vicenda purtroppo restano soffocate.
Il ladro di giorni, di Guido Lombardi, con Riccardo Scamarcio, Augusto Zazzaro, Massimo Popolizio, Vanessa Scalera, Giorgio Careccia
Immagine di copertina © Andrea Pirrello