Memorandum e memoir tra cinema, teatro e arte varia

In Teatro

Naturalmente è un match di ricordi, memorie, impressioni, madeleine che si rincorrono: ognuno vorrebbe ritrovare in questa Opera da tre soldi che s’appresta a collezionare due…

Naturalmente è un match di ricordi, memorie, impressioni, madeleine che si rincorrono: ognuno vorrebbe ritrovare in questa Opera da tre soldi che s’appresta a collezionare due mesi esauriti al Teatro Strehler in un allestimento imponente con orchestra (un budget, uno sforzo kolossal e davvero un gesto audace), tutto ciò che aveva conservato nelle sue emozioni di allora.

Impossibile e ci eravamo già accorti di questo scarto proustiano rivedendo due spettacoli di Strehler che egli stesso rifece a distanza di anni. Le baruffe chiozzotte e I giganti della montagna. Impossibile ritrovare esattamente sul palco quello che ci aspettiamo. Gli anni, dentro, hanno lavorato e trasformato tutto. Non è questione di differenza di attori o chissà che, c’entra il Tempo che passa e non permette che due esperienze teatrali, pur simili, si sovrappongano nella sensibilità dello spettatore.

Questa prefazione per ricordare che il testo di Brecht, più attuale di ieri e meno di domani, allestito fortunosamente da Bragaglia a Roma nel ’31, ha avuto una sua storica prima al Piccolo Teatro nel febbraio 56 con l’autore in sala e poi recalcitrante sul palco a prendersi gli applausi della “prima” borghese riformista milanese. E fu tale il successo che non solo B.B. affidò entusiasta a Grassi e Strehler la sua opera omnia teatrale, ma L’opera fu ripresa subito nella stagione successiva: cambiò stracci solo Peachum che era Mario Carotenuto, un grande caratterista del nostro cinema di serie e anche di alcuni musical. Al suo posto Tino Buazzelli al suo primo Brecht che non si scorda mai: da allora la sua vita artistica si legò al Piccolo. Che l’Opera la portò in giro per l’Italia ed anche fuori, tanto che poi Strehler ne allestì una edizione anche a Parigi che naturalmente pare straordinaria e si parlò anche di un interessamento di Broadway dove poi la cantò Sting.

Ma il grande spettacolo che oggi l’età media del pubblico ricorda con passione è quello che andò in scena prima in via Rovello e poi in via Larga, cioè nel Lirico ora chiuso da 12 anni, come un fantastico musical espressionista con orchestra e passerella. E il cast dopo quasi 20 anni era totalmente modificato: non più Tino Carraro, Milly, la Bonfigli, Tarascio, tutta la vecchia guardia del Piccolo di allora, ma due grandi nomi della musica come Milva, nel frattempo allevata in vitro brechtiano dal regista, e Domenico Modugno, nuovo al teatro epico, chiamato all’ultimo a sostituire Gianni Santuccio, indisposto, malato o refrattario al ruolo, sul palco del Lirico dove qualche anno prima era stato Rinaldo in campo con Garinei e Giovannini. Fu memorabile lo spettacolo e l’adesione col pubblico in un momento sociale e politico non facile: 4 ore di spettacolo filavano via come un treno.

E non bisogna dimenticare anche che dall’Opera da tre soldi il regista Pabst trasse un film nel ’31 con Artaud che fa la comparsa, mentre poi ci sono stati due remakes di media tacca, un film di Wolfgang Staudte nel 62 e uno di Menhaem Golan nel 90, mentre assai più interessante è Il masnadiero di Peter Brook del ’53 con Laurence Olivier, ispirato alla fonte originaria quell’Opera del mendicante, la Beggar’s opera di John Gay, nel mezzo del 700, che Pippo Crivelli allestì in forma musicale alla Piccola Scala. Infine per chiudere il cerchio, poche sono le altre Opere in corso nei teatri italiani in questi decenni, se ne ricorda senza entusiasmo una di Carriglio e una di De Luca al Festival di Napoli con Massimo Ranieri. Una chicca? Un allestimento divertente en travesti con le Drag Queen (non avrebbe sfigurato Rossy de Palma) con regìa di Sax Nicosia che dava la voce all’assente Mackie Messer.

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