In risposta a Citati: troppo banali gli omosessuali che ottengono diritti, come in Irlanda? Argomentazione vecchia: da tempo stiamo parlando d’altro
Rischio di convenzionalità in Irlanda per la comunità gay, in cerca da sabato 23 Maggio, dopo il vittorioso referendum, di ordinarie formazioni famigliari. Che non si offendano le dignità dei «grandi omosessuali» di passato e presente offuscando il «demoniaco» che è in loro: i diritti normalizzanti raggiunti possono andare bene solo fino a un certo punto.
Pietro Citati sul Corriere della Sera sembra preoccuparsi per quel fuoco presente in «quasi» ogni omosessuale. Il fuoco di Oscar Wilde, dei dandy afflitti e confusi, notturni e dionisiaci, che grandi si stagliano nella storia del pensiero, e ancora di più dell’arte.
La sua posizione affonda le basi nelle folgoranti immagini tardo ottocentesche di un Rilke o di un Nietzsche: soltanto quando ha mille sbarre davanti agli occhi una pantera è pronta a scattare, e non sono meno di cento le spade di Damocle sotto cui si impara a danzare, come l’oltreuomo sa fare.
Metafore splendide con cui si è dato il la a tutti i luoghi comuni sulla libertà, su come essa sussista soltanto dentro a dei vincoli. Argomenti deboli che mischiano pubblico e privato, etica ed estetica, con un procedere apparentemente colto, ma ormai soltanto inattuale.
La vecchia guardia della confraternita omosessuale racconta di avventure pomeridiane in cinema che oggi non esistono più, di ammucchiate oscure nei loggioni della Scala quando ancora mancavano le norme di sicurezza, di passeggiate in qualche «luogo molto salvatico della città», direbbe Boccaccio. La loro sessualità era temeraria e disinvolta, forse persino esibita nella sua torbida segretezza.
Ed eccolo qui il fascino decantato da Citati: un banale ribaltamento lode/biasimo con cui un intellettuale può ritenersi trasgressivo. Tanto in campo etico non c’è limite alla chiacchiera: qui i teoremi non valgono mai.
Ma Citati non è solo. David Hockney in Inghilterra accusa con successo tutti i gay che sognano la famiglie Ikea con poltrone reclinabili in ogni stanza. E li trova banali, ordinari, ingrati epigoni di antiche tradizioni di sacra oscenità.
Lo schema sessuale e culturale che emerge è antico e non può più rendere grande nessuno. Anzi, non ha mai reso grande nessuno: solo l’arte è per i grandi, perché il diritto è per i fragili. La vita è perlopiù una vicenda noiosa, piena di umili che arrancano, magari pure gay, a cui non serve alcun peana sulla loro preziosa singolarità.
Citati, Hockney e la vecchia guardia dovrebbero capire che non si sta più parlando del proibito; è tanto che si è cambiato argomento. La loro è una generazione che cercava ancora le parole per determinarsi. Ma oggi che il vocabolario esiste si può pensare a una definizione più performativa. «Sono quel che faccio nel momento in cui lo faccio»: etero, omo, trans, lesbo, ruoli intercambiabili in quel campo di gioco che il diritto traccia solo alla fine, al tramonto, quando la civetta si è liberata dal vincolo che per poco non le impediva di volare via.
Ma se non stiamo più parlando del proibito cosa resta del demoniaco, del torbido, del tormento? Niente paura. Tante grandi intelligenze saranno in ogni caso condannate alla tortura: col dono dell’arte arriva anche la frusta, «intesa unicamente per l’autoflagellazione» spiega Capote. Privilegio raro che conduce alla grandezza non solo di omosessuali, ma di chiunque abbia l’intelligenza di affrontare il doloroso percorso della definizione del sé.
Votare oggi per i diritti può portare in poco tempo a porsi domande sulla sessualità di un figlio con lo stesso spirito con cui ci si chiede se scriverà con la mano destra. Significa scortarlo con questo suo tratto lungo la strada della normalità, per giungere insieme alla meta del chi se ne frega.
(Immagine: gay marriage di Mel)
Immagine di copertina: Gay Rights are Human Rights di ep_jhu