Vincitore del premio Calvino, L’’Amalassunta’ di Pier Franco Brandimarte è un libro strano, polimorfo, in dialogo costante con il pittore Osvaldo Licini
Il primo numero di Cultweek si è aperto quasi sei mesi fa con una lettera di Mario Martone a Renato Berta, il direttore della fotografia che ha incantato gli spettatori de Il giovane favoloso con le inquadrature delle notti leopardiane: dalla finestra, il disco bianco della luna a cui il poeta dedica versi meravigliosi.
Pochi mesi prima delle riprese strette sugli occhi espressivi di un licantropo Elio Germano, qualcun altro sale di notte su una terrazza marchigiana a osservare la luna. E’ un giovane ricco di immaginazione che per capire chi è ha dovuto allontanarsi da tutto, città, lavoro, fidanzata, per rintanarsi a Montevidone, un paesello che d’inverno è una «trappola di reumatismi e clausura».
Qui ha conosciuto le opere di Osvaldo Licini (qui accanto ne parla Gulio Dalvit, ndr) il pittore di quegli eleganti ghirigori che sono le Amalassunte, il ciclo raffigurante la luna, che Brandimarte ha voluto mettere in copertina del suo libro, L’Amalassunta appunto, un romanzo bello e stranissimo che si è imposto sulla giuria del talent scout per eccellenza, il Premio Calvino. La storia scorre silenziosa, lunare e lunatica, come la personalità di Osvaldo Licini, che ha vissuto gran parte della sua vita isolato a Monte Vidon Corrado. Ed è qui che Antonio, voce narrante e alter ego dell’autore, lo osserva vecchio e zoppicante: «Ecco, lo vedo», è l’incipit del libro che è insieme romanzo, biografia e album fotografico.
Quando Antonio arriva nel paese di Osvaldo Licini, il pittore in realtà è morto da tanti anni. Ma per il giovane vedere la casa dove ha abitato, girare per le vie che hanno i nomi dei suoi quadri (via dei Fiori fantastici, via dell’Angelo ribelle…), parlare con i suoi compaesani, è come fare un viaggio nel tempo: il passato si materializza sotto i suoi (e i nostri) occhi, e mano a mano assume altri significati. Nel paesino, infatti, il nonno di Antonio aveva una barberia, qui il giovane ha passato l’infanzia e ripercorrere le tappe dell’artista è un modo per capire se stesso.
Cerco te per capire me. Un escamotage narrativo che però funziona fino a un certo punto. Presto la vita e l’opera di Licini prendono il sopravvento: la formazione all’Accademia di Bologna, gli anni con Morandi e Vespignani, la Grande Guerra che rese Licini zoppo, la Parigi del primo dopoguerra con Modigliani, l’incontro con l’amata moglie svedese, e poi insieme nel piccolo paese marchigiano, dove dipinge le composizioni geometriche del Bilico, l’Olandese volante, gli Angeli ribelli, e naturalmente le Amalassunte (nel 1958, anno della sua morte, gli venne assegnato il Gran Premio Internazionale della XXIX Biennale di Venezia).
«Amalassunta è la Luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco» scrive Osvaldo Licini all’amico e critico Giuseppe Marchiori. Una luna estrosa che cambia forma, desta meraviglia e non è splendente e chiara ma ha tante facce, proprio come la narrativa del giovane Brandimarte, polimorfa e in continuo movimento.
L’Amalassunta di Pier Franco Brandimarte (Giunti, 192 pagine, 14 euro, eBook 8.99)
Foto courtesy Centro studi Osvaldo Licini