Pulcinella di Stravinskij e Stabat mater di Pergolesi, il programma a “tesi” eseguito dal direttore d’orchestra con la Filarmonica della Scala
Quest’anno la Pasqua cade presto: il 27 marzo; da ciò derivano due banali conseguenze: la Quaresima è quasi alle porte e il Carnevale (già iniziato in varie zone, secondo le consuetudini locali) è più corto.
Sarà forse (anche) per questo motivo che il concerto del 18 gennaio della Filarmonica della Scala, diretto da Ottavio Dantone, prevedeva dapprima lo Stabat mater di Pergolesi e poi il Pulcinella di Stravinskij, intercalati da una piccola perla del Settecento italiano, il Concerto in sol maggiore per violoncello e archi di Nicola Porpora, nell’originale versione per pianoforte e archi curata dallo stesso Dantone.
Simpatiche coincidenze a parte, il concerto aveva un evidente filo musicale (e musicologico), sotto il nume tutelare del mito di Pergolesi.
Lo Stabat mater non ha certo bisogno di presentazioni: la sequenza che descrivere la morte di Cristo in croce attraverso il dolore di Maria ha trovato nelle note del compositore di Jesi un equilibrio tra intensità patetica e compostezza musicale forse unico.
Di rara intensità e compostezza è stata anche l’interpretazione di Dantone e della Filarmonica, nonché delle due voci soliste, il soprano Roberta Invernizzi e il contralto Delphine Galou. Gli archi avvolgono le voci, supportano il canto (a tratti sono anche forse troppo presenti) e partecipano al dramma, ora con calore ora quasi “prosciugati”, spettatori impotenti della morte (esemplare l’attacco del «Fac, ut portem Christi mortem»).
La commozione passa soprattutto dalla calda voce delle soliste: la Invernizzi ci fa sentire ogni attimo di sofferenza nel «dum emisit spiritum», mentre le due voci e l’orchestra perfettamente amalgamate nel conclusivo «Quando corpus morietur» sanno ben rievocare il momento misterioso di tremore e speranza del passo finale di ognuno.
Dopo il giusto momento di pausa, la seconda parte del concerto si apre in tutt’altro clima: la versione pianistica del Concerto di Porpora ci riporta a un barocco che si potrebbe definire quasi “cinematografico”, forse per i temi di Porpora, allo stesso tempo originali e come già ascoltati mille volte, o per il timbro del pianoforte che inevitabilmente colma nella nostra percezione il salto temporale dal Settecento ai nostri giorni.
Riscrittura tutta novecentesca che apre le porte al balletto Pulcinella di Stravinskij, qui offerto nella versione originale con tre voci soliste (oltre a Roberta Invernizzi, il basso Carlo Malinverno e il tenore Francesco Castoro, giovane cantante dell’Accademia della Scala).
Ideato a partire da temi musicali che a inizio Novecento si credeva essere tutti di Pergolesi (mentre poi si è scoperto che molte di quelle bellissime melodie, come quella di apertura, erano di compositori del Settecento che hanno avuta molta meno fortuna pustuma di Pergolesi, come Domenico Gallo e Ignazio Monza), la partitura stravinskijana si dipana attraverso un’orchestrazione frizzante e caleidoscopica: turbinio di idee e timbri (cuciti con maestria da Dantone ed eseguiti con altrettanta bravura dalla Filarmonica) per una descrizione, si potrebbe dire, delle peripezie di Pulcinella con il vestito musicale di Arlecchino: ancora per un po’, insomma, è Carnevale.