ll giovane Ensemble Biscantores prende il coraggio a più voci e reinterpreta il “divino compositore”, cominciando dalla sua Messa più canonica
Rileggere Palestrina oggi richiede una certa dose di coraggio. Persiste infatti il mito della purezza assoluta della sua polifonia, mito alimentato da una sonorità “angelica” della sua musica che è ormai entrata dentro le nostre orecchie soprattutto grazie a una tradizione interpretativa principalmente inglese.
Per il terzo anno consecutivo l’Associazione Noema, guidata da Giuditta Comerci, con il Festival dell’Ascensione propone, alla Chiesa di San Calimero, una serie di interessanti concerti che spaziano dalla musica medioevale a quella rinascimentale. Il 7 giugno, protagonista è stato proprio il “principe della musica”, Giovanni Pierluigi da Palestrina, interpretato dal giovane Ensemble Biscantores, fondato e diretto da Luca Colombo.
Il cuore del concerto era la Missa Papae Marcelli, la più nota, citata ed eseguita tra le messe palestriniane, in virtù della mitologia ottocentesca che individua in questa Messa la salvatrice della polifonica all’interno della liturgia durante il Concilio di Trento. Aneddotica a parte (che pure un briciolo di verità contiene), i Biscantores hanno una loro idea in proposito, che se da un lato si allontana (almeno in parte) da una lettura celestiale di Palestrina, dall’altro ne riconferma in altra veste la bellezza.
Si comincia, allora, con una Toccata di Frescobaldi, e poi dall’altare di San Calimero risuonano le note di un liuto che intona uno dei più famosi mottetti di Palestrina, Sicut cervus, a breve seguito dai cantori posti nel coro (dietro l’altare); il liuto è poi sommerso interamente dalle voci, ma l’effetto iniziale ancora dà i brividi nel ricordo.
Dopo questo preludio il coro prende posizione davanti all’altare ed ecco il Kyrie emergere in tutta la sua imponenza, accompagnato da un organo positivo e da due viole da gamba. Se la prassi di sostenere la polifonia con strumenti non è più una novità per nessuno, forse nel caso di Palestrina può avere, almeno all’inizio, un effetto straniante.
Il risultato è un’impasto caldo, profondo (ben diverso da una sonorità alla Tallis Scholars, giusto per intenderci) che enfatizza la tessitura della Messa gravitante verso il registro medio-grave (a sei voci, con raddoppio di basso e tenore). Altro merito dei Biscantores è la grande attenzione alla pronuncia del testo, sempre chiarissima e guida sicura del fraseggio musicale.
Il concerto si è dipanato alternando le parti della Papae Marcelli ad alcuni mottetti (di particolare intensità Fasciculum myrrhae, su testo del Cantico dei cantici), in un silenzio totale del numeroso pubblico, che alla fine è esploso in un lungo, meritatissimo, applauso: la sfida dei Biscantores è stata vinta.