Dopo Procida, Monopoli e L’Aquila ITALICS porta nel territorio del Monferrato la quarta edizione di Panorama, la mostra diffusa itinerante che dal 2021 mette in relazione arte, architettura, antichità e contemporaneo con il territorio e le sue comunità.
Si struttura a partire da “La civile conversatione”, dialogo di Stefano Gozzo ambientato a Casale Monferrato e pubblicato nella seconda metà del Cinquecento, questa edizione di Panorama Italics, ambientata nella cornice monferrina che si estende tra Alessandria e Asti, sviluppandosi nei paesi di Camagna, Vignale, Montemagno e Castagnole. Come il testo del Conte Gozzo si divide in quattro capitoli, nello stesso modo tra i quattro paesi designati si dipana il discorso espositivo: Lavoro e Radici il primo grande tema e a seguire Ritratto e Identità, Caducità e Morte, e poi Sacralità dell’arte, anche laica.
L’incontro con le opere in questo contesto pare avere l’andamento (lento, da gustare), che potrebbe avere un verbo: disvelare.
Lo sguardo, in questo territorio, si ritrova avvolto da colline morbide occupate dall’ordinata e razionale vegetazione dei vigneti. Si comincia da Camagna, ci si incammina verso il Loggiato del Palazzo comunale. Qui Gianpietro Carlesso espone un’imponente e fluttuante opera del 2013, “Tutto muta”, un inno alla trasformazione propria del tempo e propria della materia: la ruggine che ricopre l’opera pare significare ossidazione come vita che si nutre di elementi per poi digerirli redigendone nuove forme.
La sede dell’ex Cottolengo ospita, tra gli altri, il lavoro di Arcangelo Sassolino, posto nella sala dell’edificio destinata in passato alle celebrazioni religiose. “The paradoxical nature of life” si presenta come monumento capace di sospendere le indagini fisiche cui è soggetto lo sguardo: una monumentale incudine, come pietra miliare del linguaggio, dell’estetica, della civiltà, è posta su un piano curvo, in vetro, che si fa fragilissimo tappeto volante. Raccoglie diversamente lo sguardo, essendo posizionata sul pavimento della sala appena adiacente, l’opera di Maria Nepomuceno (“Untitled”, 2010), che con colori acidi da bouquet spaziale, intrecci millenari e ceste traboccanti di pietre e fili, crea l’illusione d’essere null’altro che una di quelle perle, in una moltitudine di chicchi come bacche (di vita) da sgranare.
Gli “Schizzi Selvaggi” di Richard Meitner, poetici corrispettivi scultorei di disegni tra l’astratto e il figurativo, si arrampicano sopra una delle pareti dell’edificio, come forme colte in intrecci tra i materiali che le compongono (vetro soffiato, legno, ferro) ed il colore, che partecipa alla loro formalizzazione come fosse un materiale anch’esso. Di Lavoro e Radici sembra parlarci anche l’opera di Salvatore Scarpitta, del 1963, “Drummer Brigade”: cinghie da lavoro, atte a bloccare e contenere, qui si liberano attraverso un rosso violento, acceso e sensuale, abbracciato al dispositivo-telaio.
Spostandosi a Vignale, a Palazzo Callori, tre Ritratti di Vincenzo Agnetti incarnano il tema di questa seconda sede, come moniti-rivelatori, verità-accadimenti: sono il “Ritratto di Equilibrista” (1970), il “Ritratto di Ignoto” (1971), e il “Ritratto di Missionario” (1971). Jana Schröder, nella seconda sala del Palazzo, si staglia attraverso due imponenti opere pittoriche recentissime, con un inno polifonico che prende le sue mosse dai cromatismi dei blu e dei cremisi. Con le sue opere “D. A. M. L2” e “D. A. M. M4” sintetizza con un astrattismo energico, gestuale, sconvolto e composto al contempo, un Diego Armando Maradona come simbolo e baluardo di identità. Diego Perrone, nella stessa sala, pone la sua opera in dialogo con quella di Schröder e con tre ritratti di ampio respiro di Ottone Rosai, pittore attivo nella prima metà del Novecento che spesso ritraeva persone dedite allo svolgimento di umili lavori. Le sculture di Perrone, “Senza titolo”(2016, 2016,2022), quasi agglomerati plastici facenti emergere elementi legati al lavoro della terra ed elementi di una natura come in fuga da questi stessi blocchi, come fossero reperti fossili ultra contemporanei.
La terza tappa di questo percorso, che ricorda la commistione tra il giardino all’italiana e il giardino all’inglese, si realizza nei luoghi di Montemagno. Una grande opera di Marco Bagnoli, “Il Cielo copre, la Terra sostiene” (1989,2023), accoglie con il suo slancio verticale vista e udito, come a voler invitare a prendere parte ad un rituale contemplativo svolto attorno e attraverso essa. Caducità e Morte i macrotemi incarnati in questa tappa, e l’opera di Sara Enrico “The Jumpsuit Theme”, una serie di recente realizzazione ottenuta da calchi realizzati utilizzando l’intera superficie interna di tute, mostra corpi in bilico tra l’esserci, l’esistere (abbandonati, calati a terra -appunto- caduchi) e il farsi cimelio, simulacro, testimoni di un passaggio. L’opera pittorica di Pierluigi Scandiuzzi, un “Giardino Segreto” luminosissimo, con una prospettiva capace di inserire tutto sullo stesso piano confondendo magicamente lo spazio e il tempo degli accadimenti che introduce, si fa invito ambivalente a prender parte a questo paesaggio interno, dove un piccolo, quasi fatato cimelio-donna-sirena sarebbe (forse) pronto ad accoglierci, attendendoci pazientemente adagiato sui bordi di una intarsiata fontana d’azzurro.
A Castagnole troviamo infine l’ultimo momento di questo circuito espositivo che è riuscito ad accostare il paesaggio e quello che è “dietro il paesaggio”, come ben ha saputo dire Andrea Zanzotto nella sua poetica, ovvero ciò che sorregge, culturalmente e storicamente, le altre strutture di significato che di volta in volta si vanno ad intrecciare con le strutture naturali. Una natura morta di Giorgio Morandi “Fiori”, del 1942, riesce ad abbracciare in toto il concetto di “Sacralità dell’arte, anche laica”, destinato a chiudere il percorso iniziato qualche paese più in là. I grigi, i mezzi toni, la superficie pittorica di questi “Fiori”, cedono allo sguardo ed al pensiero quella che è la capacità di questo artista di fissare, in maniera quasi erotica, sublime, il reale per quello che è e per quello che in tensione potrebbe essere. L’ex Asilo Regina Elena rivela una scalinata monumentale che mescola stili architettonici in una mirabile fattezza, e accoglie, inglobandola gentilmente, l’opera degli Invernomuto “Pannocchia”, che risuona proprio attraverso lo spazio della struttura, che si fa cassa di amplificazione sonora. Alfredo Pirri staglia sulla superficie del pavimento di una delle navate esterne dell’edificio un grande, gigantesco specchio, fatto a pezzi. I visitatori, pestando il suolo con i loro piedi e il loro peso, creano la costante sensazione tattile e uditiva del “fare a pezzi”: “Passi” (2024), è un’opera dalla potente e profonda semplicità, teatrale e risonante come sa essere spesso il quotidiano. La scultura invisibile di Luca Vitone, “per l’eternità” (2013), cattura il senso dell’olfatto, componendosi di fragranze destinate ad evocare ed essere evocate dalla memoria grazie al fatto che il nostro sistema nervoso trattiene molto a lungo, per scopi evolutivi legati alla protezione della specie, le memorie olfattive.
Le settantaquattro gallerie di arte antica, moderna e contemporanea partecipanti all’iniziativa (tra le più attive e importanti del panorama nazionale), hanno saputo sostenere, in concerto con le istituzioni coinvolte, il lavoro transmediale di artisti diversi per periodo storico, formazione e intenti, convogliandone il pensiero in luoghi densi di natura, storia e tradizioni, gettando le basi per riflessioni su quello che sarà o potrà essere il futuro di queste terre.