Il tempo della melanconia. Godani, la metafisica, noi.

In Letteratura

Non più (e non solo) sentimento individuale, ma percezione condivisa, fronte comune, orizzonte di un’epoca intera: è questa la melanconia, che caratterizza profondamente il nostro tempo al punto da poter essere pensata come connotazione interiore della modernità. Paolo Godani indaga manifestazioni ed evoluzioni di questo sentire collettivo: “Melanconia e fine del modo” (pubblicato da Feltrinelli Gramma) è un testo che riporta nel ragionamento sul nostro presente una vecchia conoscenza: la metafisica.

‘La sfida non è di poco conto, perché ne va di ciò che siamo e potremmo essere. È necessaria, per cominciare, tutta un’educazione metafisica, percettiva, sentimentale. Un’esperienza, non religiosa ma mondana dell’indistruttibile.
Una nuova sensibilità per le cose del mondo, capace di ridare serenità a uno sguardo, il nostro, da troppo tempo affidato alla catastrofe’

Così scrive Paolo Godani in Melanconia e fine del mondo, uscito per Feltrinelli nella collana Gramma.
È una sfida coraggiosa quella che ci lancia Godani e bisogna essere coraggiosi noi pure a coglierla, o almeno a provarci, perché qui si parla di metafisica dura e pura, illustrata – a supporto delle nostre povere menti poco speculative – da meravigliose citazioni poetiche; del resto, non è facile sottrarsi alla seduzione dell’immagine della Melanconia.


La scelta stessa della forma ‘melanconia’, invece della più comune malinconia, è dettata dall’esigenza, ormai tradizionale, di distinguere la melanconia ‘moderna’, fondamentalmente legata all’analisi psicopatologica, rispetto a una più generica e diffusa forma di tristezza – indicata appunto dal termine comune di ‘malinconia’.
Freud in Lutto e melanconia accosta i due fenomeni, iniziando a ipotizzare l’esistenza anche per il melanconico di un oggetto perduto. È un passaggio notevole, dato che non è affatto evidente che il dolore melanconico sia dovuto alla perdita di qualcosa. Ma questo senso di perdita resta vago, confuso: il melanconico non ha la chiara consapevolezza di quale sia l’oggetto che ha perduto, appunto perché quell’oggetto è stato rimosso.

Lutto e melanconia sembrano condividere non solo la perdita dell’oggetto, ma anche una certa inibizione ad agire.
Però, mentre nell’elaborazione del lutto l’individuo impegna tutto se stesso nel tentativo di liberare la ‘libido’ che aveva investito nell’oggetto perduto, per spostarla su un nuovo oggetto, il melanconico resta paralizzato. Non riuscendo a individuare l’oggetto, secondo Freud, sente ‘uno straordinario avvilimento del sentimento di sé’, un senso di colpa che lo porta a ‘un’identificazione con l’oggetto abbandonato’; in questo modo la perdita dell’oggetto si trasforma in perdita dell’Io.

In un breve testo del 1915, scritto pochi mesi prima della Guerra, Freud racconta di una passeggiata con un giovane amico poeta, probabilmente Rainer Maria Rilke, ‘in una contrada estiva in piena fioritura’. Il poeta esprime il suo turbamento al pensiero che ‘tutta quella bellezza sia destinata a perire’.
In una delle Elegie duinesi scritte da Rilke in quel periodo, emerge proprio il senso di caducità:


‘…per noi, sentire è già svanire; ah noi
che ci esaliamo via; di brace in brace
diamo un sentore più lieve…’


Sempre secondo Freud, la caducità di tutte le cose può portare alla nausea di tutto, a un nichilismo assoluto, ma può anche essere al contrario, ‘ne è semmai una valorizzazione’, dato che proprio la caducità aggiunge a ogni cosa un valore di rarità nel tempo.
Ancora Rilke, nella Nona elegia:

‘ …sembra
che tutte le cose di qui abbian bisogno di noi, queste evanescenti
che stranamente ci sollecitano. Di noi, i più evanescenti’.


E ancora :

‘…Ogni cosa
una volta, una volta soltanto. Una volta e non più. E anche noi
una volta. Mai più…’


Le cose hanno bisogno di noi, aggiunge Rilke più avanti, perché ‘forse noi siamo qui per dire: casa / ponte, fontana, porta, brocca’ e per dire queste e altre cose ‘così come le cose stesse mai / intimamente pensavano di essere’.
Secondo Paolo Godani la potenza corrosiva della critica melanconica può esercitarsi in due sensi opposti. Può radicalizzare il nichilismo sino alla distruzione di ogni realtà, oppure può esercitarsi criticamente contro i propri stessi fondamenti.
E cioè, proprio affermare l’inconsistenza del tutto non è che la condizione di possibilità di ogni pretesa di trascendenza. Quindi,

‘ il malinconico risanato può forse presentarsi come la condizione di un rinnovamento all’altezza dei problemi del mondo, cioè all’altezza del senso della fine che caratterizza il mondo contemporaneo’.

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