Una mostra ben curata allo Spazio Wow racconta la storia di Zio Paperone, il più amato (e il più spietato) tra i personaggi Disney
Che Zio Paperone, protagonista della mostra in scena al Museo del fumetto, non sia un personaggio disneyano come gli altri è evidente a chiunque abbia un poco di familiarità con gli abitanti di Paperopoli. È lui stesso del resto a dichiararlo, alla sua prima apparizione, fissando sul lettore gli occhi furiosi: «Me – I’m different! Everybody hates me and I hate everybody!» (ma la traduzione italiana anni ’50 proponeva con tripudio di moralismo un memorabile «Tutti spendono, si divertono, vanno in campagna… Quanti soldi sprecati…»). Era il 1947 e Uncle Scrooge entrava nell’immaginario collettivo per non uscirne più.
Modellato sul protagonista del Canto di Natale dickensiano (Ebenezer Scrooge, per l’appunto), il vecchio taccagno andava ad aggiungersi alla lista delle creazioni di Carl Barks, padre geniale di buona parte dei “paperi” nonché, nella lunga vecchiaia, arzillo indossatore di cravatte Disney e pittore di quadri a olio quasi altrettanto kitsch. Uncle Scrooge nasceva scorbutico, misantropo, avaro e avido oltre ogni immaginazione. Nasceva pronto per diventare beniamino del pubblico di tutto il mondo, icona globale in abbigliamento da capitano d’industria ottocentesco, incarnazione dell’immarcescibile mito americano del self–made duck. Avido e spietato, certo, ma gran lavoratore: è il capitalismo, bellezza! (Rockerduck, tanto per intenderci, figlio di papà con novecentesca bombetta da finanziere, è tutt’altra cosa).
Gli anni avrebbero appena smorzato le asperità del suo carattere, senza scalfirne l’incontrollabile bramosia di ricchezza; e senza che il successo del papero accennasse a scemare (tra gli omaggi, la strepitosa sequenza di apertura de I predatori dell’arca perduta). Se Carl Barks è il padre biologico di Paperone, merita una menzione speciale, tra i tanti che hanno prestato parole e china al personaggio, Don Rosa che ha tentato di mettere ordine nell’abnorme universo narrativo legato ad Uncle Scrooge e fissare, una volta per tutte, la storia di Paperone e della sua stirpe. Ne è risultata una saga in dodici episodi di ambizione e respiro epico che rappresenta forse il prodotto più maturo dell’universo fumettistico Disney. Chi è stato bambino negli anni Novanta ancora si commuove al ricordo.
Nelle spazi della mostra, curata da Andrea Tardito, Luca Sgambi e Ferdinando Zanzottera, ci si può lungamente istruire sulla storia del papero più ricco del mondo con efficaci selezioni di vignette; si ammirano bozzetti e disegni originali e albi da collezione, ci si smarrisce in un profluvio di merchandising di ogni genere e tipo. Nell’ultima sala elaborati pannelli esplicativi affrontano il sentito problema del deposito di Zio Paperone: è possibile costruirlo davvero? Con quale forma? Il progetto, in bilico tra ironica genialità e premio Ignobel, è curato da una classe del Politecnico di Milano, con tanto di studi sperimentali sulla pressione statica esercitata da un mucchio di monete del valore di alcuni fantastilioni e attenta analisi dei rischi sismici di Paperopoli. Pressoché insormontabili risultano purtroppo le difficoltà progettuali poste dalla botola-scaccia-ospiti-indesiderati. Anche così si misura il successo di un personaggio capace come pochi di radicarsi nell’immaginario collettivo attraverso ogni sua incarnazione.
Zio Paperone e i segreti del deposito, WOW Spazio Fumetto, fino al 27 settembre