“Papi” di Rita Indiana mostra i deliri di una bambina che vive nella sola attesa del padre, un trafficante narcos.
Di Rita Indiana, musicista prima scrittrice dopo, si dice sia l’astro nascente della letteratura latino americana, i commenti sulla sua scrittura sono pregni di luoghi comuni, si fa appello al “realismo magico” perché è di Santo Domingo e quindi tutto quello che sfugge alla concretezza della realtà nelle sue storie viene fatto confluire nell’onirico, nel magico, ma viene anche definita una icona del mondo gay, solo perché è lesbica.
Personalmente trovo che la scrittura di Rita Indiana esca da classificazioni semplicistiche e si posizioni in una dimensione tutta sua: in Papi un vero e proprio torrente di parole travolge il lettore che senza alcuna fatica si abituerà presto ai flussi di coscienza della protagonista, una moderna Alice nel paese delle meraviglie della Repubblica Dominicana. La trama del libro è appena accennata, Rita Indiana non voleva affatto proporci una concatenazione di eventi, piuttosto raccontare con ritmi serrati (molto simili a quelli della sua musica) i deliri di una bambina che vive nella sola attesa del padre, un trafficante narcos.
“Papi è dietro ogni angolo. Ma non posso restare seduta ad aspettarlo sennò la morte diventa più lunga e dolorosa. Meglio fare altri programmi, rimanere in pigiama a guardare i cartoni animati dalle sei del mattino fino a mezzanotte o addirittura uscire e andare a spasso, che è un gioco che si è inventata mami e che si chiama se-Papi-ti-vuole, che-ti-venga-a-cercare. Ma (…) non si fa vivo per mesi e persino per anni, finchè io non dimentico addirittura che esiste (…)”
Notevole la capacità dell’autrice ( lasciatemi dire anche della traduttrice Vittoria Martinetto) di scrivere tutta la storia con un linguaggio infantile facilmente riconoscibile dall’abbondanza di immagini, incredibile il modo in cui riesce a mantenere i toni senza mai risultare artificiale, la protagonista ha solo dieci anni e il suo linguaggio mantiene una semplicità lessicale e sintattica dall’inizio alla fine.
“Papi ha i capelli ricci, neri e ricci, perché quando era in Marina e portava le uniformi, bianche, kaki e un fucile di legno, un fucile finto giusto per le fotografie, il mio Papi aveva capelli cortissimi, perché nella Marina militare glieli tagliavano a zero (…) e così gli hanno tolto quello che rimaneva di biondo in testa.”
Lingua curata e pulita, scrittura vivace, riesce a rendere “visibile” la “velocità” che vuole trasmettere. Con le parole Rita Indiana abbraccia tutti i sensi, i colori delle cose sono spesso forti, decisi, le sensazioni di caldo o freddo, gli odori e i sapori disseminati in tutto il libro in molteplici combinazioni, coinvolgono il lettore costantemente :
“Per un bel pezzo questo è tutto quello che vediamo, bianco e ancora bianco finchè non penetra una luce giallastra che inzuppa tutto e s’insinua anche una musica, è merengue (…) poi riusciamo a vedere l’insegna al neon color mango su cui una bottiglia di birra versa eternamente un getto di schiuma che forma le lettere CARWASH”
Il tono, spesso ironico, fantasioso e di tanto in tanto umoristico riesce anche a virare verso un registro più drammatico quando descrive il dolore in cui spesso la piccola protagonista precipita ogni volta che deve elaborare un nuovo abbandono paterno.
Lo straniamento di questa bambina è molto accentuato, la ricerca di un paradiso familiare rimarrà costante in tutta la storia, in questa frase, che vi cito in lingua originale perché mi sembra renda meglio l’idea, sta tutta la disperazione e il senso di abbandono : “¿Por qué mi papá no está aquí? Porque es un Dios y tiene muchas cosas que hacer“, perché mio padre non è qui? Perché è un dio e ha molte cose da fare.
Vive in un mondo di adulti dominato dalla violenza, un mondo che interpreta a suo modo perché non è in grado o forse più semplicemente non vuole vederlo per quello che realmente è. Qualcuno ha visto in Papi elementi della vita dell’autrice, il padre di Rita Indiana è morto a New York nel 1989, fu assassinato in circostanze rimaste poco chiare
“Mi padre era mi héroe, no era mi ídolo. Tuve una relación con él muy intensa” ha detto in una intervista, a differenza della protagonista della storia però precisa che per lei il padre non era un idolo, era il suo eroe come spesso accade per i bambini.
L’aspetto dell’idealizzazione della figura genitoriale è preponderante nella storia, per i bambini idealizzare i genitori, o almeno uno di loro, è fondamentale per la crescita, poter contare sui propri genitori aiuta il bambino a costruire il rispetto per se stesso ed è quello che la protagonista di questa storia vuole fare.
Nella storia che ci racconta Rita Indiana si verifica quello che il Professor Maurizio Andolfi ( noto neuropsichiatra infantile e autore di moltissimi libri che indagano sulle dinamiche famigliari) chiamerebbe “vuoto di padre”, qui il padre è totalmente svuotato del ruolo e dell’autorità del pater familias, è una figura che entra ed esce dalla vita della figlia e per farsi perdonare la latitanza arriva sempre carico di regali.
“Papi ha talmente tante Iridelle e tanti Gremlins per me, che non mi piacciono neanche più. (…) Papi mi ha anche comprato stivaletti e pastelli colorati e alphabet stickers, prested water colours, flexi-foam sheets, parrucche della Barbie, sweatshirts, halloween decorations (…) per quando andrò a trovarlo, per quando Papi tornerà e mi porterà con sé”
Accanto al “vuoto di padre” c’è il “pieno di madre”. Qui la figura materna è quella che rappresenta la continuità, il punto fermo famigliare
“ Non disperarti, è l’unica cosa che mami riesce a dire. E io immagino (sono ormai completamente cieca) i miei giocattoli invecchiare un po’ alla volta.”
Da notare che “mami”, al contrario di Papi, è scritto con l’iniziale minuscola.
La musica, presente, come è naturale che sia in una storia scritta da una musicista. Mi sono molto divertita a cercare i musicisti di merengue a cui Rita Indiana fa riferimento. Fernandito El Mayimbe, notissimo cantante della Repubblica Dominicana che ultimamente si è “convertito” alla musica sacra, spirituale, Fausto Rey, lo “shoeshine boy” diventato uno dei più grandi interpreti della musica dominicana. Mi è molto piaciuto il modo in cui anche parlando di musica Rita Indiana è riuscita a “trasfigurare” i personaggi inserendoli perfettamente in quel mondo “surreale” in cui vive la protagonista.
“Interrompiamo la programmazione per informare gli spettatori che Fernandito Villalona, alias El Mayimbe, è appena stato arrestato per possesso di origano e coriandolo.”
Infine, un aspetto della storia che ha un sapore autobiografico è il riferimento ad una tendenza omosessuale della giovane protagonista. La scoperta dell’identità sessuale di questa bambina è raccontata in modo naturale:
“(…) Ed è per questo che mi hanno tagliato i capelli come un maschio. Ed è per questo che quando giocavamo a mamme e papà le mie amichette mi facevano fare il papà. Ed è per questo che sono saltata addosso a Natasha mentre giocavamo nascoste sotto il letto. (E a Monica e a Sunyi e a Renata e a Jessy e a Franchy e a Zunilda e a Ivecita). (…) Ed è per questo che mami ha cominciato a mettermi solo pantaloni.”
Credo di avervi dato abbastanza elementi per leggere Papi, un libro sorprendentemente profondo e ricco di spunti di riflessione, brava davvero Rita Indiana che si sta distinguendo nel panorama della letteratura contemporanea per originalità distaccandosi, al contrario di quello che molti dicono, dallo stile tipico degli autori dei Caraibi.