Leggere Modiano non significa solamente approcciare una realtà lontana e irraggiungibile, ma anche entrare in un labirinto di minuscoli particolari
Per comprendere fino in fondo Patrick Modiano e la sua opera non possiamo prescindere dalle fondamentali questioni biografiche che hanno influenzato, influenzano e influenzeranno sempre la sua prosa.
Nasce nel Luglio 1945 a Boulogne-Billancourt, una cittadina a sud-ovest di Parigi. Suo padre era un ebreo-francese di origini italiane, sua madre era Louisa Colpijn, un’attrice belga di origine fiamminga. Essendo nato nell’estate dopo la liberazione nazista, la sua infanzia conobbe appena il sole del Dopoguerra, ma, al contrario, conobbe perfettamente il dubbio, la solitudine e l’abbandono: condizioni che derivarono da una tremenda e prematura orfanità. Il padre era una figura ambigua: vittima del Nazismo, si dimostrò pronto a tutto per sopravvivere ed evitò la deportazione grazie ad importanti amicizie collaborazioniste e a rapporti di forte complicità con gli stessi carnefici che sterminarono il suo popolo. La madre era una donna sfuggente, spesso completamente assente. Episodio particolarmente significativo nella giovinezza di Modiano è la scomparsa del fratello minore Rudy, morto di leucemia nel 1957, a soli dieci anni. È proprio a lui che Modiano dedicherà i suoi primi scritti.
Il clima di indeterminatezza e di insicurezza in cui cresce il giovane Patrick si rifletterà nei suoi romanzi, dove prenderà in considerazione l’ipotesi di liberarsi dalle catene della finzione.
In questo senso, il 1977 segna un punto di svolta non solo nella maniera di scrivere di Patrick Modiano, ma anche nell’intera letteratura francese. È proprio questo, infatti, l’anno di uscita di Livret de famille, una raccolta di dodici racconti. L’autore mette temporaneamente in scena se stesso in qualità di giovane padre nella prima e nelle ultime storie; in qualità di perpetuo bambino in alcuni episodi riguardanti la sua gioventù. Nello stesso anno, un giovane scrittore, Hervé Guibert, pubblica La Mort propagande, la sua prima raccolta di racconti; qui mescola esperienze di una sessualità fantasmatica ed episodi di una vita adolescenziale non ancora lontana. Sempre nel 1977, un famoso accademico, Serge Doubrovsky, pubblica il suo primo testo non critico: Fils. In quarta di copertina propone una parola inedita per definire il suo progetto letterario, concepito come un incontro tra autobiografia e finzione: «autofiction».
La fine degli anni Settanta segna così una svolta nella concezione dell’autobiografia. La scrittura autofictionnelle costituisce sia una pratica a vocazione identitaria: l’autore impara a conoscersi sollecitando la propria personalità a partire da ciò che ne rimane nella sua coscienza; sia una pratica importante in dimensione letteraria, poiché rivela l’invenzione del soi, il sè: un soggetto si costruisce tramite un atto di rappresentazione basato sull’esperienza vissuta, la quale si congiungerà, al momento giusto, con l’opera di finzione.
L’opera di Modiano costituisce una vasta autofiction della quale ogni racconto forma un microtesto che la concentra, la spiega, la sposta, la altera. La finzione non è designata come fantasia, ma come un principio di conoscenza altra, che permette di andare al di là dell’evidenza della realtà quotidiana. Rappresenta una scommessa per lo scrittore, che cerca di andare oltre i tracciati obbligati dello spazio, alle sequenze temporali e alla dimensione statica degli scambi sociali e all’imprevedibilità degli incontri amorosi. La finzione risulta essere quindi una forma frustrazione: segna l’incapacità per colui che scrive di accontentarsi dei limiti della conoscenza comune.
Modiano dà così credito all’idea di una realtà parallela dove il mistero del sé nei confronti del mondo potrà sollevarsi, ma identifica questa pararealité con una pratica letteraria nella quale ogni storia costituisce un grado di illusione successivo alla storia precedente. La schema che struttura i racconti ricopre un processo di rivelazione sempre posticipato, nessuna storia ha la capacità di colmarlo da solo. La finzione si fa quindi luogo e agente di una ricerca esistenziale costantemente stimolata, ricerca che Modiano compie in nostra compagnia e con il nostro aiuto. La stesura di ogni opera è indipendente e allo stesso momento interdipendente dalle altre con le quali entra in risonanza, proponendone una variante, una combinazione degli elementi, un’armonia particolare dei temi affrontati. Il processo di creazione rivela un rivangare ossessivo del passato, delle compulsioni e delle repulsioni legate ad esso, che si caratterizza per la presenza di elementi-chiave, posti alle volte come parti delle struttura dell’opera e come sfuggenti marchi della coscienza. Luoghi, personaggi, avvenimenti, situazioni, motivi e procedure formali si ripetono, inseriti in racconti in cui l’elemento autobiografico è più o meno dominante. Se questi elementi segnano l’origine delle esperienze vissute dallo scrittore nell’infanzia e alle porte del mondo degli adulti, diventeranno poi, da un romanzo all’altro, i tratti di un’identità che si costruisce rivisitando le proprie fondamenta.
In questo spazio di autofiction, i luoghi giocano un ruolo fondamentale: circoscrivono una geografia reale ed uno spazio simbolico, tracciando il perimetro dell’opera e della personalità che vi si proietta dentro. Alcuni quartieri di Parigi sono onnipresenti, il Quai de Conti, il bordo della Senna che si affaccia sul Louvre, Saint-Germain-des-Prés (luogo dove ha passato l’infanzia), Montmartre, l’avenue Junot, l’allée des Brouillards, rue Caulaincourt e il boulevard Ornano (luogo di rifugio adolescenziale e crocevia di incontri); la città universitaria (luogo cosmopolita, come sospeso nelle geografia nazionale); la rue de Vaugirard (in Des inconnues, evoca un’atmosfera particolarmente angosciante). Se Parigi assorbe in tale maniera lo scrittore, lui stesso assimila di conseguenza Parigi. I suoi racconti trasformano la capitale in un gioco di piste biografiche e letterarie che rendono la finzione suscettibile a diverse variazioni e un supporto sensibile per un protagonista costantemente errante.
La Parigi di Modiano è una città in cui il solo nome delle strade risulta evocativo, i quartieri si riducono a luoghi essenziali, distanti da ciò che è pittoresco. Un caffè, le Condé, diventa quello della gioventù perduta, luogo nel quale si spiega l’anima di un intero quartiere. A scapito dell’illustre teatro Odéon, che gli dona il nome e lo spirito di un’epoca, quando l’effervescenza artistica, bohème e squattrinata del dopoguerra non aveva ancora piegato i negozi al profitto e al commercio del lusso internazionale. Ogni luogo parigino è paventato come un mondo di memoria collettiva, una somma di tracce che lo scrittore descrive per suscitare nel lettore una visione del passato. Ciò che il lettore vede non è una restaurazione, ma un sequestro di una certa Parigi esistita tra gli anni Trenta e gli anni Settanta. I luoghi, le persone, gli oggetti, gli indirizzi, i numeri di telefono costituiscono a volte una crittografia vivente della capitale: questi rendono possibile un’esplorazione della personalità realizzata sulla base di situazioni urbane, sulle linee evanescenti dei ricordi, dei legami, delle attrazioni e delle fobie.
Leggere e rileggere Modiano non significa solamente approcciare una realtà lontana e, per certi versi, irraggiungibile, ma anche entrare in un labirinto di minuscoli particolari fondamentali, dalla cui interpretazione dipende completamente il gusto estetico della sua prosa straordinariamente minimale.
Immagine: Paris by victortsu