Esiste davvero, misura appena cinque metri quadri, contiene la scommessa del ritorno in Garfagnana e della fiducia nei lettori, anzi nelle lettrici. ‘La libreria sulla collina’ è la storia di Alba Donati, una vita tra poesia e editoria, per poi tornare a Lucignana, nell’Appennino lucchese. Una scommessa vinta, quella della sua libreria, e un libro che ha incantato Francoforte e che verrà letto in dieci paesi
Naviga tra le sponde che quasi si toccano dell’azzardo e dell’incanto La libreria sulla collina (Einaudi, pagg. 196, euro 17). L’azzardo non tanto di tornare a casa – a Lucignana, nell’Appennino lucchese – quanto di aprire una libreria in un paesino di 180 abitanti. Romano Montroni, storico direttore delle Librerie Feltrinelli al quale Alba Donati espone il progetto, le dice schietto: “Sei pazza”. E l’incanto di una libreria-casa di bambole – la Libreria Sopra la Penna, cercatela su internet – che prende forma e vita, che diventa punto d’incontro e di appartenenza per tutto il paese e attira lettrici (lettori pochini ma si sa, le donne leggono di più) da tutta la Garfagnana, poi dalla Toscana e dall’Emilia, poi dal resto d’Italia, fino a essere inclusa in una lista delle venti librerie più affascinanti d’Europa.
Quando nel dicembre 2019 Alba Donati decide di lasciare Firenze e di cambiare vita, ha fatto un percorso che suscita rispetto e ammirazione: è poetessa fra le nostre maggiori, donna di libri e di editoria (fra gli autori che ha seguito e curato ci sono Michael Cunningham e Edward Carey) e direttrice del Gabinetto Viessieux, prestigiosa istituzione culturale che prima di lei ebbe direttori fra gli altri Bonaventura Tecchi, Eugenio Montale e Alessandro Bonsanti, e dove il ragazzo Roberto Calasso (lo racconta lui stesso in Memé Scianca) andava a rifornirsi di libri a bracciate.
Perché torna a Lucignana? «Perché avevo bisogno di respirare, perché ero una bambina infelice, perché ero una bambina curiosa, per amore di mio padre, perché il mondo va a scatafascio, perché il lettore non va tradito, perché bisogna pensare ai più piccoli, perché mi sono salvata». Salvarsi significa riannodare i fili con un paese vivace (a Lucignana, racconta orgogliosa Donati, nessuno durante il ventennio prese mai la tessera del Pnf), con le amiche dell’infanzia povera con cui faceva la bulletta e giocava ai Ricchi e Poveri, con la sua “stramba famiglia fatta di nomi e date che non tornano”.
Così in questo libro baciato dalla grazia, in questo diario di sei mesi di libreria, ci sono la madre e il padre centenari, lui fuggiasco e amatissimo, lei imperiosa e capricciosa, che si ritrovano e si perdonano dopo essersi smarriti a lungo, lui con un’altra donna e lei a fare finta che non fosse successo niente ma aspra, risentita. C’è il marito di primo letto della madre, partito poco più che ventenne nel 1942 per la disastrosa campagna di Russia e mai più tornato, del quale Donati rintraccia la piastrina in un sito russo di cimeli bellici. C’è la gioia – anche l’ansia, anche gli sbuffi di impazienza – di accudire e ritrovare e quella di creare e fare crescere una comunità attorno alla libreria: le volontarie anche ragazze, le lettrici spaiate e le famiglie che “facciamo un regalo alla mamma” ma poi ognuno sceglie il suo libro, i pescatori che vogliono leggere Ferlinghetti e Louise Glück mentre aspettano che qualcosa abbocchi nel torrente, le milanesi e le salernitane con cui tenere la corrispondenza e a cui spedire pacchi con il nastrino, le scolaresche e i bambinetti incantati, il tè e lo spritz nel giardino amatissimo e armoniosamente spettinato.
Il “catalogo” della libreria: soprattutto donne, soprattutto storie (che nascono da un dolore, da una sfasatura, da un conto che non torna), ma anche il giorno della memora e gli autori dei dintorni (che gioia, ci sono il meraviglioso Enrico Pea di Moscardino e il fantasma amico di Pia Pera evocato anche da Emanuele Trevi nel bellissimo Due vite). E alla fine di ogni giornata, l’elenco dei libri ordinati che può diventare, per chi legge, divertito gioco di società: questo l’ho letto, questo aspetta che mi informo, io per esempio ci ho scoperto l’aliena e nomade Viola Di Grado.
In una libreria così piccola – cinque metri quadrati – la selezione è di necessità accurata, non privilegia le novità ma ci sono anche quelle, e predilige libri che sono spariti dalla circolazione e non lo meritavano. Poi ci sono i parafernalia che fanno allegria e rischiano di diventare le buone cose di ottimo gusto, il piccolo kitsch di noi lettori (i segnalibro, le agende e i quaderni, le calze di Jane Austen e i tè delle scrittrici: quello di Charlotte Bronte è verde con i fuori di gelsomino). Nelle pagine circolano, a folate, scrittori amati e rievocati (Magda Szabò, Cesare Garboli), un paesaggio e un paese con l’amore per le cose e le persone. Caso letterario dell’ultima Fiera di Francoforte, La libreria sulla collina è già stato venduto in dieci paesi. È una bella notizia, in questa libreria prima o poi ci vado di persona personalmente.
In apertura foto di Kimberly Farmer/unsplash