Ultimi giorni per visitare “Perseo”, seconda personale di Alessandro Calabrese alla galleria Viasaterna di Milano, con testo critico a cura di Milovan Farronato e Chiara Spagnol, che chiuderà il prossimo 29 novembre. Partendo da un errore di stampa trasformato in metodo, Calabrese ne fa principio e occasione per un volo pindarico sui generi pittorici, sulle influenze della pittura e sul rapporto tra pittura e rappresentazione fotografica. Per riclassificare a suo modo la gerarchia classica dei generi.
La metrologia è la scienza della misura: si occupa delle misurazioni di grandezze fisiche e delle loro applicazioni. Esiste una branca di questa scienza definita “teoria degli errori”, la quale classifica gli errori – considerati come de facto inevitabili in una misurazione – per stimarli, controllarli e prevederli, con l’obiettivo, magari, di ridurli.
Alessandro Calabrese in Perseo – la sua personale ospitata da Viasaterna e visitabile fino al 29 novembre – è diventato teorico dell’errore partendo da un passo falso. Gli è capitato di stampare un’immagine sul lato “sbagliato” della carta fotografica, così il colore, invece di venire assorbito, è stato rigettato e ha iniziato a colare ed espandersi sulla superficie; Calabrese, a questo punto, ha congelato il processo ri-fotografando la fotografia stampata male e, questa volta, stampandola come il mestiere insegna. Invece di cancellare l’errore dal reame delle possibilità, Calabrese l’ha sistematizzato, applicando questa nuova, quiproquoesca tecnica di stampa a tutta la serie di immagini presenti oggi nella galleria milanese.
Ci sono fotografie scattate dall’artista, così come immagini generate dall’AI oppure, ancora, foto iconiche, come quella della “Dust Lady”, l’elegante signora salvatasi l’11 settembre 2001, fotografata mentre era ricoperta di polvere e cenere (rivista oggi, in originale, fa molto “Dune” di Villeneuve): tutte queste immagini di origine eterogenea vengono mal-stampate da Calabrese, generando un universo abitato da fiori fosforescenti, perché i pigmenti dell’inchiostro virano mentre vengono rifiutati dalla carta; da paesaggi attraversati da una corrente elettrica costante, perché i contorni si perdono mentre la stampante non sa come comportarsi; da amanti, amici e animali che sembrano, semmai, fotografati con una termocamera che, nel depersonalizzarli, ce li fa sentire così caldamente vicini, con quelle macchie di rossi e viola che li trapassano, o freddamente lontani, ché di quei verdi e di quei blu c’è poco da fidarsi. Vasi di fiori, montagne, immagini storiche, ritratti, scene di gruppo: Calabrese propone la totalità dei generi della pittura classica nel suo progetto Hierarchy of Genres, riconfermando un certo interesse per la sistematizzazione, non solo degli errori. Tra sbavature di inchiostro e vivacissime macchie espanse di pigmenti, ossia in un apparente regno del caos, tutto è attentamente classificato.
Se Hierarchy of Genres invade il primo piano della galleria, facendosi, poi, ancora un pochino di spazio giù dalle scale – solo nella prima sala, dove c’è ancora luce: come fosse una pianta – , qui in basso il discorso è come ribaltato e l’ordine apparente è, in realtà, rivelatorio di una certa, fisiologica, umanissima confusione. Infatti, il lavoro presentato nella sala più buia, quella più in fondo, raccoglie 68 selfie di amici dell’artista – lavorate con lo stesso processo delle altre immagini in mostra – abbinate a 68 frasi estrapolate dalle loro conversazioni su WhatsApp: foto della persona X, messaggio inviato dalla persona X; foto della persona Y, messaggio inviato dalla persona Y. Il sistema di corrispondenze sembra chiaro, non lascia possibilità all’errore, al subbuglio, al malinteso, allo svarione.
E, invece, i messaggi scelti da Calabrese per rappresentare i suoi rapporti e, dunque, sé stesso, così decontestualizzati, spaesano completamente chi li legge: “No, non capisci: noi prendiamo tutto sul serio”; “Mi toglierei da Instagram, se solo qualcuno se ne accorgesse”; “Se ci sono altre femmine, per favore, che siano sterilizzate”. Tornando al piano superiore, alla luce, ci si sente alleggeriti dal lasciarsi quel disordine mascherato da ordine alle spalle, ma si deve anche ammettere che qualche sana risata, quei messaggini, l’hanno provocata: è fisiologico, è umanissimo ridere, a volte, anche dello psicodramma incomprensibile.
Uscendo dalla galleria apro il mio WhatsApp e cerco la sezione dei “Messaggi importanti”: ne ho moltissimi. Leggo quelli più recenti: “Un mix di ansia e voglia di romanticismo che comunque non fa bene a nessuno”; “Appena visto un passeggino stilosissimo ora voglio un figlio”; “Vorrei che i maschi smettessero di avere i ricci”.
Alessandro Calabrese, Perseo, Viasaterna, Milano, fino al 29 novembre 2024