Nel 1819 il reale esercito britannico, che aveva appena sconfitto Napoleone Bonaparte, fece dodici morti attaccando a Manchester, con ussari, sciabole e cavalli, una protesta pacifica di 60mila uomini, donne e figli. Chiedevano riforme, una vita civile, la fine della miseria, il debole principe reggente non seppe far di meglio che attaccarli. Dallo splendido “Turner” a “Peterloo”, Leigh firma un altro film perfetto nell’atmosfera, nella ricostruzione sociale, nelle facce e nei gesti dei potenti e della povera gente. Un film brechtiano, arrabbiato, che non fa sconti a nessuno
Altro che La favorita. Dimenticatevi la regina Anna e la sua gotta, in questa Inghilterra d’inizio rivoluzione industriale dell’800, dove regna malato e folle Giorgio III che affida tutto all’incapace principe reggente e a una casa reale terrorizzata dalla presa della rivoluzione francese, ma rinvigorita dalla vittoria del Duca di Wellington su Napoleone a Waterloo. In Peterloo di Mike Leigh , passato e premiato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, siamo in quel dell’ex operosa Manchester, la città in cui Engels studierà poi la crisi del capitalismo tessile di famiglia, dove il 16 agosto 1819 si radunò una folla festosa e popolare di 60mila persone stremate dalla miseria e dalla voglia di far sentire la propria voce senza urlare: uomini, padri, nonni e mariti, con mogli e figli che chiedono riforme, anche per permettere alla natìa Manchester di contare qualcosa nel regno inglese.
In giro, molte spie del potere e sul palco un oratore modaiolo, bravo e riformista, Henry Hunt (i documenti sono di prima mano) le cui parole vagano nell’immensa piazza. Andò a finire in carneficina, un massacro annunciato come il nostro risorgimentale a Bronte, con l’esercito degli ussari a cavallo che, armato di sciabole, uccide 12 persone e lascia sul selciato della piazza st. Peter centinaia di feriti e una memoria disastrosa nel tempo, che alcuni giornalisti si incaricano di trasmettere (così nacque The Guardian) all’eternità.
Muore così anche quel soldatino che avevamo visto nel magistrale inizio arrancare verso casa dalla battaglia di Waterloo, da cui il gioco di parole del titolo: un monito quasi poetico e certamente brechtiano. Mike Leigh, dopo la parentesi pittorica di Turner, torna a occuparsi di segreti e bugie della sua patria, e ci ricorda questo fattaccio non in prima linea nella memoria collettiva. S’immerge in un quasi documentario che privilegia il volto e la sofferenza del singolo, esplode dei fattori umani, e la sua abilità è assoluta nel dipingere il contesto dei volti della povera gente, dei mercati, delle modeste case e dei pub.
Il bellissimo film, molto didascalico ma su basi documentate, è come diviso in due prove generali: da una parte la povera gente, con l’oratore fighetto, che prepara la grande occasione di chiedere, disarmata e pacifica, le riforme, tra cui quella elettorale; dall’altra i soliti giochi dei potenti, il mellifluo reggente e gli altri, che osservano dalla finestra come fossero in un palco di teatro le vite reali della piazza che si apprestano a spegnere. Inutile dire che non c’è nel cast un volto, un’espressione, un costume, un gesto, un’intenzione fuori posto, tutto si allinea in un disegno preciso che non fa sconti a nessuno.
Peterloo di Mike Leigh, con Rory Kinnear, Maxine Peake, Pearce Quigley, David Moorst, Rachel Finnegan, Tom Meredith, David Bamber, Tim McInnerny, Teresa Mahoney, Nico Mirallegro, Karl Johnson, Leo Bill, Mark Ryan, Philip Jackson