PianoMirroring, ovvero suonare “partiture umane”

In Musica

Allo Spazio Lambrate un interessante esperimento musicoterapeutico

Lo psicoanalista resta invisibile alle spalle del paziente, il retore guarda tutti e nessuno, il musicista altrove. Si potrebbe fare una storia delle arti e dei mestieri dal punto di vista degli occhi, chiarire il ruolo sottile e decisivo giocato dallo sguardo.

PianoMirroring è un esperimento (siamo andati a vederlo allo Spazio Lambrate) insieme performativo e terapeutico, “sapienziale” lo definisce Alessandro Sironi, la mente dietro al progetto e al pianoforte.

Di formazione classica e forte di una vasta esperienza come arrangiatore e autore di colonne sonore, Sironi ha presto spaziato nel mondo delle performance come allievo di Alejandro Jodorowsky, poi della pittura e della letteratura, pubblicando per Anima Edizione Il libro delle Domande. In collaborazione con Mauro Scardovelli si avvicina alla musicoterapia ed elabora PianoMirroring, progetto collaudato da ormai due anni in Italia e all’estero passando per Pianocity e un consistente lavoro seminariale.

Allo Spazio Lambrate di via delle Rimembranze in occasione della performance del 18 novembre cerchiamo di capire cosa significhi suonare delle “partiture umane”.

Il pubblico prende posto intorno allo strumento, la stanza illuminata solo da due luci di carta. Subito Sironi mette in chiaro che non sarà un concerto come gli altri: ci invita a guardarci negli occhi, a incontrare il suo sguardo e quello degli altri spettatori durante il primo brano. Giocando in apertura, l’estetica musicale passa in secondo piano e indovinare se ci sia più Chopin, Satie o Glass nelle sue composizioni perde presto la sua attrattiva. Mettere sullo stesso piano occhi e orecchie modifica gli equilibri della fruizione.

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Finito il brano ci spiega il funzionamento della performance. Viene estratto a sorte il nome di uno spettatore che prende posto all’altro capo del pianoforte, libero di muoversi, alzarsi, distogliere lo sguardo. Può rifiutarsi, ma non cedere il posto. L’idea, come suggerisce il nome, è che la composizione faccia da specchio all’interiorità non del musicista, ma dello spettatore: in dieci minuti abbondanti d’improvvisazione Sironi tira fuori il bello e il cattivo tempo di chi ha davanti. E a giudicare dalle reazioni tra commozione e stupore l’esperimento sembra riuscire piuttosto bene.

A metà serata Sironi spezza il ritmo. Chiede al pubblico di mettersi a coppie e fissare uno sconosciuto negli occhi, mentre sullo sfondo scorrono ambientazioni sonore che colorano l’esperienza nei modi più diversi. L’obiettivo dell’intermezzo, come dell’intera performance, non è tanto intrattenere quanto far emergere esplicitamente il potere della musica, nei suoi aspetti trasformativi e rivelativi.

Esplicitamente: Sironi non manca di accennare alla teoria che sorregge l’intero progetto nei suoi intrecci musicoterapeutici, psicoanalogici e sapienziali. Basta leggere la brochure per farsi un’idea del lavoro di pensiero che c’è dietro: «Il pianoforte si rivela un modernissimo sistema oracolare per tradurre l’inconscio in immagini chiare, intuizioni, ricordi e visioni». Ancora: «Si tratta di un processo che si potrebbe definire omeopatico, ovvero l’introduzione dell’informazione, sgravata dal corpo pesante del vettore, in questo caso la parola o l’esperienza». Chi fosse interessato può partecipare alle conferenze pubbliche gratuite, la prossima delle quali si terrà il 2 dicembre sempre allo Spazio Lambrate.

Sironi organizza inoltre sessioni individuali di PianoMirroring e Seminari Esperienziali, partendo dal principio per cui «ognuno possiede una colonna sonora interna, forse non scelta, ereditata, spesso subita. Cosa accade se modifichiamo la musica che ci accompagna in questo viaggio?».

Quello che è accaduto, al di là della teoria, è una performance di improvvisazioni convincenti, smussamenti emotivi e ponti empatici inaspettati. Si può storcere il naso o lasciarsi andare completamente, in ogni caso l’esperienza non lascia indifferenti.

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