La ricca stagione di Escobar con la supervisione di Massini, tre volte presente come autore. Nel dopo Ronconi, anche una nuova Opera da tre soldi e torna anche l’Odissea di Bob Wilson
Ventidue produzioni – quattordici novità, otto “graditi ritorni”. Lavori in lingua originale, artisti ospitati e “in prestito”, come nel calciomercato, da diversi teatri italiani. Un elenco di spettacoli, testi e nomi diversificati, e sulla carta più che appetibili. Un Teatro orgogliosamente europeo, in grado di manipolare e vestire molteplici trasformazioni, sullo sfondo di una Milano che al tempo di Expo cambia e vuole innovare, assecondando la tradizione per creare materia innovativa da consegnare al futuro.
Così il Piccolo Teatro si presenta – e introduce la stagione 2015/2016 – agli amanti di ieri, agli amici del presente, agli esploratori di domani. Alla presenza di una nutrita rappresentanza istituzionale (dal presidente del Cda Salvatore Carrubba agli assessori Del Corno e Cappellini) il Teatro è stato “salutato” dal sindaco Giuliano Pisapia, che ha ricordato quanto quella del Piccolo costituisca «un’eccellenza da valorizzare mettendo al bando concorrenze e rivalità».
Dalle parole di Pisapia, di fronte al direttore Sergio Escobar e al pubblico tutto, è riemerso il nome di Luca Ronconi, scomparso lo scorso 21 febbraio e anima ideale e tutelare della stagione 2015/2016, in dialogo con titoli e opere eterogenee a confronto tra loro: allestimenti di opere leggendarie o di nuova drammaturgia ruoteranno, con armonia, intorno ai tre palcoscenici ubicati tra Largo Greppi, via Rivoli e via Rovello. Se di nuova drammaturgia si parla, si segnala subito il dittico matriarcale o egualmente vesuviano delle sorelle Macaluso–Operetta Burlesca di Emma Dante e Sud Costa Occidentale (6-18 ottobre). E la reinvenzione santificata, impetuosa e “civile” di una Napoli tra Dante e San Gennaro filtrata dall’incontro, sul palcoscenico, di Roberto Saviano e Mimmo Borrelli: è Sanghenapule, in scena dal 5 al 24 aprile 2016. O ancora: i controversi ricci/forte, dal 2 al 7 febbraio del prossimo anno, riproporranno Darling (ipotesi per un’Orestea), la loro apprezzata contaminazione tra pop, rock, arte, Artaud e tragedia classica.
In prima assoluta dopo il trionfo di Lehman Trilogy (di ritorno a gennaio 2017) e dopo la recente nomina di direttore artistico del suo autore, Stefano Massini, Credoinunsolodio (1-20 dicembre 2015, prestare attenzione al giuoco di parole del titolo) colloca sul palco tre bravissime attrici/registe – Manuela Mandracchia, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres, già apprezzate in Troiane allo Studio Melato – e le mette al centro di tre ruoli “politicamente” e civilmente contrapposti, per una riflessione culturale di tensione drammaturgica viva e intensa. E ancora Massini è autore di 7 minuti, uno spettacolo di Alessandro Gassmann ispirato a una storia vera di lavoro femminile in fabbrica, e guidato da una compagine di attrici che hanno a capo la grande Ottavia Piccolo. Lo spettacolo-evento di quest’anno, però, celebra una importante ricorrenza: i sessant’anni dalla morte di Bertolt Brecht. Non si contano i festeggiamenti e le riedizioni delle opere allestite in numerosi teatri; il Piccolo, da canto suo, ripensa l’Opera da tre soldi in un’ottica diversa, e affida al regista Damiano Michieletto gli ardori di una messinscena nuova e storicistica in grado da una parte di celebrare Brecht, dall’altra di consegnare i dovuti allori anche a Kurt Weill, autore delle forme musicali, e a John Gay, autore dell’Opera del mendicante (1728) che avrebbe ispirato proprio Brecht nella composizione del suo capolavoro. Tenitura di due mesi (19 aprile – 11 giugno) e Rossy De Palma e Peppe Servillo tra gli interpreti principali.
Calato da poco il sipario sulla sua Carmen partenopea, Mario Martone – insieme a Paolo Pierobon e Giuseppe Battiston – porterà in scena La morte di Danton, da Georg Büchner (già portato sul palco da Strehler nel 1950 con un cast che comprendeva anche Enrico Maria Salerno), una produzione Teatro Stabile di Torino ospitata dal Piccolo (1-13 marzo). Grande attenzione, come sempre, ai grandi nomi del Novecento, come Arthur Miller – Il prezzo, con regia di Massimo Popolizio, anche attore insieme a Umberto Orsini, nella versione tradotta da Masolino D’Amico, va in scena dal 2 al 14 febbraio – o Pasolini: Caldéron, diretto da Francesco Saponaro con Andrea Renzi, sarà al Piccolo Studio Melato dal 9 al 21 febbraio. Ma anche due vere e proprie opere-leggenda del XX secolo: da un lato I giganti della montagna di Pirandello (3-8 maggio), con regia di Roberto Latini, dall’altro l’ormai consolidato Natale in casa Cupiello di Eduardo firmato da Fausto Russo Alesi (4-20 dicembre). E il teatro di Eduardo tornerà a brillare anche con Non ti pago, dal 10 al 22 novembre con regia e interpretazione del figlio Luca De Filippo e musiche del premio Oscar Nicola Piovani.
Il Piccolo presterà particolare attenzione anche alle personalità di teatro provenienti da altre nazioni: dal 6 al 31 ottobre tornerà in teatro (e festeggerà la 140esima rappresentazione) Odyssey, il meraviglioso, ossigenato spettacolo di Bob Wilson scritto da Simon Armitage e ispirato a Omero. Non solo: con Le Kung-Fu (2 e 3 ottobre) Milano potrà apprezzare il talento del congolese Dieudonné Niangouna, con lo spiazzante Gaudeamus (27-31 gennaio) le umanità dolci e violente create da Lev Dodin e il Maly Teatr di San Pietroburgo, con Der Park (24 novembre – 6 dicembre) la drammaturgia di Boto Strauss, ispirata al Sogno di Shakespeare e diretta da Peter Stein.
Teatro nello scatolo del teatro: il Piccolo racconta i fenomeni sinestetici, scientifici e sintomatici di quei matti che si avvicinano alle tavole del palcoscenico. Lo fa ospitando testi contemporanei, come La prova (1-10 aprile), di Pascal Rambert, che dirige anche la versione italiana della sua opera e un cast di attori che comprende Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi: gli artisti di uno spettacolo in lavorazione vedono confusi e poi smantellati, poco a poco, le loro priorità creative e personali. Lo fa, inoltre, attingendo dai classici: ancora Massini – insieme a Paolo Rossi e Giampiero Solari – è artefice di una rilettura quotidiana e metascenica dell’Improvvisazione di Versailles di Molière, con Paolo Rossi e Lucia Vasini (12-24 gennaio). Questa sera si recita a soggetto di Luigi Pirandello (con cui, come ha ricordato Escobar, lo stesso Ronconi nutriva un rapporto sovente conflittuale), nella versione diretta da Federico Tiezzi, in cui l’intero testo viene riconsiderato e destrutturato nella sua vocazione naturale a “raccontare” il mondo del teatro come procedimento endemico e sistemico.
E ancora: il terrore per la rappresentazione, i rapporti umani e lacustri e l’incombente feticcio della morte, invece, sono al centro dell’edizione del Gabbiano (12-24 gennaio) diretta da Carmelo Rifici, che si avvicina a san Čechov promettendo di fare faville.
E, in chiusura, i nomi grandi, quelli indimenticabili e forgiati nelle memorie collettive: Winter’s Tale del Bardo Shakespeare, in versione originale e con regia del pluripremiato (e pluriscespiriano, peraltro) Declan Donnellan, calpesterà il palco del Piccolo Teatro dal 17 al 21 febbraio, con la compagnia Cheek by Jowl. E come chiudere, se non con il dolce – e corrosivo, s’intende – Goldoni? Rivivrà, incisivo come di consueto, nella messinscena delle Donne Gelose diretta dal giovane Giorgio Sangati: l’opera, scritta e recitata interamente in veneziano, prende avvio in una Venezia capovolta, squallida e miserrima, e verrà interpretata da un ricco cast, che comprende anche Fausto Cabra e Paolo Pierobon. Non solo donne gelose, però: che senso avrebbe, d’altronde, chiudere questa lunga carrellata senza confermare quello che, da anni, rappresenta l’appuntamento fisso più amato e birichino del pubblico milanese? Sì, L’Arlecchino servitore dei due padroni tornerà, dal 3 al 22 maggio. Protagonista, fresco di Guinness e pronto a mille altri primati, l’ormai leggendario Ferruccio Soleri.
Il tempo, il teatro
Il tempo del teatro: per Ronconi sedimento ripensato e plasmabile, dilemma anomalo e spesso indecifrabile nella magia del gioco scenico
Tempus fugit ovunque, meno che a teatro: perché poi torna, come un boomerang, non si perde. Il tempo del teatro sedimenta, cambia stato e materia, si trasforma in pensieri, memoria, dubbi. Era poi la cosa cui Ronconi teneva di più: non insegnare tutto subito con la lavagna o il siparietto brechtiano, ma far uscire dalla sala con qualche bella incertezza sul futuro (e anche sul passato). La nuova stagione del Piccolo ha come titolo pinteriano “Il tempo, il teatro”, binomio efficace: si pensi alla divisione del tempo a teatro (i tre atti, i due tempi, il tempounico, gli intervalli…) o alle pause o ai silenzi che alcune signore pensano fatti per scartare le caramelle. Non si può non pensare però a un omaggio a uno dei migliori spettacoli di Ronconi, Infinities che, laggiù nel 2002, nella scomparsa Bovisa post testoriana, quando ancora i libri con lezioni di fisica non erano best seller Adelphi, si domandava che effetto potessero fare alcuni paradossi sulla fisica scritti da Barrow.
Ma messi in scena, in luoghi inusuali, con la sapienza di uno che ha sempre voluto fuggire dagli spazi del velluto rosso e per cui il Tempo non esisteva ma in questo caso si riavvolgeva perché alla fine si poteva, volendo, ricominciare daccapo. In genere, con Ronconi, il tempo si prolungava assai, tanto da essere divenuta proverbiale la durata ronconiana (ma Il gioco dei potenti di Strehler & Shakespeare? Imbattibile, due nottate). L’ultimo suo grande allestimento, la Lehman Trilogy è diviso in due serate e trionfa anche per questo: sarà ripreso a Milano nel ’16 ed andrà in giro per l’Italia e l’Europa dove è richiestissimo. Il Tempo a teatro si coniuga in modo speciale, l’hanno spiegato e glossato ieri tutti i big alla conferenza stampa: il tempo solidifica le posizioni, le rendite, la fama e gli orgogli. Col tempo si diventa teatri Nazionali. L’Expo allarga il tempo. Ma il tempo per la verità a teatro non esiste, ridiventa soggettivo come quando sei preso, perso (anagramma) in un libro o in un film: scompare.
C’è un orologio sopra le testa dei Lehmann, mentre perdono una N dal cognome yiddish, ma le lancette vanno piano o veloci, non battono il tempo normale, che in scena non esiste. Bello il titolo dunque e comprensivo della durata infinita del tempo bergsoniano, evoluzione creatrice dell’autore e dello spettatore: ogni ricordo di spettacolo teatrale è anche la ricerca del proprio tempo perduto, si porta dietro le memorie personali, il numero della fila e della poltrona, chi c’era o non c’era o arrivò tardi, l’eco dei colpi di tosse.
Che Ronconi non si fidasse delle regole temporali è noto: diede a Mariangela Melato due occasioni faustiane indelebili e meravigliose, di tornare ad avere 9 anni o di averne 324 circa, comunque un paradosso, che a teatro è sempre possibile. Così come il teatro in simultanea dell’Orlando furioso o degli Ultimi giorni dell’umanità comprende il concetto di due o più ordini spazio temporali a scelta, creando la propria nicchia di durata. Perciò anche se non ci sono ahimè spettacoli di Ronconi e non si può scherzare sulla loro durata (ma Pirandello e Goldoni doveva farli lui e Le donne gelose segue in parte le sue indicazioni di regia), la nuova stagione del Piccolo, nella sua “infinità” di proposte fa pensare con affetto al volto burbero un po’ da babbo Natale che negli ultimi anni aveva il regista, di cui siamo orfani inconsolabili.
(foto di Luca Ronconi: Luigi La Selva)