Vita vera o presunta tale di Gian Ruggero Manzoni: artista o spia, indefesso intellettuale o lunga mano dei Servizi. Una spy story dei fatti nostri, lungo trent’anni di zone d’ombra all’italiana: semifinalista allo Strega e troppo inaudito per non essere vero.
Potrebbe essere vero, ma anche no.
Sembra incredibile, ma nello stesso tempo è verosimile, una verosimiglianza che affonda nel sottosopra della nostra storia recente, nelle trame e negli intrighi novecenteschi che non hanno mai una soluzione, una verità provata, alla luce del sole, men che meno giudiziaria.
In questo gioco a rimpiattino con la nostra incredulità si insinuano Pier Paolo Giannubilo, autore di Il Risolutore. Una vita estrema (Rizzoli, p.486,20 euro), candidato scartato dalla cinquina dello Strega, e il risolutore in carne ed ossa, Gian Ruggero Manzoni, classe ‘57, padre partigiano e madre fascista, pronipote di Alessandro, cugino di Piero e di Pippa Bacca, anarchico, trotzkista, poeta, pittore, docente all’accademia di Belle Arti a Urbino, credente, e, per 25 anni della sua vita, agente segreto con licenza di uccidere.
Il metodo narrativo è, come molti hanno notato e lo stesso Giannubilo ha in parte ammesso, quello à la Carrère, ne l’Avversario ma soprattutto in Limonov: l’autore è immerso dentro la storia con il suo sé, e si racconta nell’incontro con il suo personaggio, di cui subisce la fascinazione sconcertata.
Giannubilo ci mette un surplus di autobiografismo, raccontando anche fatti e nevrosi della sua vicenda personale che si intrecciano nella trama, ma l’espediente retorico non intacca il giganteggiare del protagonista che, dopo alcuni incontri sporadici, nel 2013 accetta di raccontare in due giorni allo scrittore la sua vita straordinaria.
Un materiale enorme e debordante che Giannubilo metterà cinque anni a trasformare nel romanzo.
Il risultato una spy story che si legge d’un fiato e il ritratto di un’epoca, dagli anni ‘70 ai 2000, visti da una prospettiva laterale, la provincia, Lugo, Bologna, Pesaro, ma centrale per quel che ha rappresentato la Bologna febbrile del ‘77: con il movimento, il Dams, e una concentrazione di personaggi , da Pier Vittorio Tondelli ad Andrea Pazienza e FreakAntoni, tutti amici di Manzoni.
L’inizio del precipizio è l’arresto a 20 anni per la detenzione di una P38: Manzoni rischia un anno e mezzo di galera, ma il padre lo raccomanda ad amici dei carabinieri e così finisce arruolato. Una volta congedato dopo un addestramento durissimo, non capisce quale cambiale abbia firmato con il destino, una condanna a vita, fino alla prima telefonata: quando i servizi lo richiamano per liquidare un siriano che fa il triplo gioco. La volta dopo sarà a pochi minuti dalla strage di Bologna, chiamato sul teatro dell’attentato.
Nei vent’anni e più successivi sarà un alternarsi tra periodi di sonno, in cui Manzoni conduce la sua vita di poeta e pittore ben inserito nel côté culturale europeo e viveur estremo e un po’ patologico, e le chiamate in servizio per operazioni sotto copertura all’estero, in Libano, Bosnia, Afghanistan, Serbia.
Nel libro non si fanno troppi sconti, e pare che nemmeno Manzoni se ne faccia, raccontando le contraddizioni apparentemente insanabili tra l’antimericanista settantasettino convinto – che di fatto lavora per tutta la vita al soldo della Nato – , dell’ex Palla di grasso come lo chiamavano da bambino che si trasforma nello Squalo dal corpo tatuato, dell’uomo ossessionato dal sesso che ammette di aver fatto sempre un po’ lo “sciacallo” con le donne, cercandosele deboli e assoggettabili, dell’intellettuale estremo e instancabile che ha bisogno dell’adrenalina del fronte, vittima di attacchi di panico che lo costringono al ricovero.
Nel finale c’è un tentativo di chiudere il cerchio: 20 anni dopo Manzoni torna a cercare una ragazzina, che nell’inferno balcanico aveva salvato da uno stupratore, liquidato nel solito modo. E la trova, con tanto di reciproca catartica commozione. Troppa grazia.
Ma nel romanzare la realtà Giannubilo afferma di non essersi inventato niente e si torna al punto iniziale. Sarà vero?
In un’intervista con il giornalista investigativo di Repubblica Carlo Bonini, Manzoni ha tenuto il punto anche se non è stato in grado di portare prove del pezzo della sua vita sotto copertura.
A Bonini l’Aisme (ex Sismi) ha riferito che non c’è traccia di un Gian Ruggero Manzoni «negli archivi disponibili».
La nostra sospensione dell’incredulità punta su quelli indisponibili.
Troppo inaudita la vita di Manzoni, per non essere vera.