Catapultato dalla tranquilla Brooklyn del 1943 alla Sicilia dello sbarco alleato, il giovane Arturo è il prototipo del bravo ragazzo che per chiedere la mano della sua amata al padre sfida una Guerra Mondiale diventando adulto, facendo grandi amicizie e scoprendo cose che non avrebbe voluto sapere sulla sua terra e gli americani liberatori. Buon film n. 2 di Pif, romantico, satirico e polemico
Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, torna al cinema dopo il suo debutto sul grande schermo con La mafia uccide solo d’estate nel 2013. In guerra per amore (2016) potrebbe essere considerato una sorta di prequel del suo primo film, come il regista stesso afferma: Pif tratta nuovamente il tema della mafia, attraverso i colori della commedia italiana più classica. Stavolta racconta, con un senso di profonda amarezza, il patto di collaborazione che l’esercito americano stipulò con Cosa Nostra per portare libertà e democrazia in Italia senza inutili spargimenti di sangue. L’ipotesi che nel 1943 gli americani chiesero il “permesso” alla mafia per sbarcare in Sicilia è falsa, poiché la decisione fu ovviamente presa a livelli assai più alti, tra Churchill e Roosevelt insieme a Stalin. In realtà, però, una volta portata a termine la liberazione, i boss e i loro collaboratori, diventati sul campo il braccio destro degli alleati per mantenere il controllo sul territorio, ebbero in cambio cariche politiche e organizzative. La storia romantica del protagonista Arturo Giammaresi (Pif) diventa dunque l’espediente per ricordare, con vena anche polemica, ciò che accadde alla fine della Seconda guerra Mondiale nel sud d’Italia, eventi che hanno segnato la storia del nostro paese in modo indelebile.
Arturo è un ragazzo palermitano che all’inizio degli anni ’40 è emigrato a New York per cercare fortuna. Il giovane s’innamora della bella Flora (Miriam Leone), nipote del proprietario del ristorante italiano dove lavora, promessa sposa, però, al figlio del boss mafioso locale. L’unico modo che ha la giovane coppia di coronare il suo sogno d’amore, annullando la promessa fatta dallo zio di Flora, è ottenere la benedizione del padre della ragazza, che però vive ancora nel piccolo paese siculo di Crisafullo. Mentre la giovane combatte la mafia tra le pareti domestiche, cercando di sabotare le sue nozze, il giovane, squattrinato Arturo si arruola, per arrivare a destinazione, nell’esercito americano che prepara lo sbarco nel sud dello stivale.
Attraversando mille peripezie per ottenere il fatidico “si” alle nozze con la sua amata, Arturo diventa così testimone di uno spaccato della storia italiana, che mette in luce le condizioni per l’ascesa della mafia, laddove nelle piccole realtà siciliane è il boss a decidere “cu campa e cu mori”. Suo alleato in quest’avventura è il tenente italo-americano Philip Catelli (Andrea Di Stefano), che sembra essere l’unico a rendersi conto dell’incremento del potere malavitoso, addirittura favorito dallo sbarco degli alleati. Anche il tenente è in guerra per amore, ma per amore del suo paese e dei suoi valori, e tenterà in tutti i modi di sollevare la questione con i suoi superiori, ignari delle possibili conseguenze di ciò che sta accadendo, arrivando a scrivere una lettera al presidente americano Roosevelt, la cui consegna affiderà ad Arturo.
Pif, come nella sua prima pellicola, ha lavorato alla sceneggiatura con Michele Astori e Marco Martani e i tre durante le loro ricerche si sono imbattuti nel cosiddetto “Rapporto Scotten”, dal nome del tenente cui è ispirato il personaggio Catelli e il documento riporta una relazione su “Il problema della mafia in Sicilia”, a dimostrazione che fin da subito gli americani si sono scontrati con la dura realtà siciliana. Le alternative possibili, affacciate dall’ufficiale, furono tre: combattere Cosa Nostra militarmente, scendere a patti con i grandi boss mafiosi, o infine abbandonare l’Italia a se stessa. Fu scelta questa terza opzione, considerata il male minore.
Il film di Pif viaggia su un doppio binario, e se all’inizio sembra che il regista dia più spazio alla storia romantica, verso la fine prevale la vicenda storica: con la liberazione dalla dittatura fascista cresce il potere mafioso, che si pone come giustiziere anticomunista e promotore dell’agognata democrazia. L’inquietante discorso finale del neosindaco di Crisafullo, il boss mafioso Don Calò (Maurizio Marchetti), lascia lo spettatore inerme e disarmato, perché oggi consapevole di quello che succederà nel nostro paese, sotto gli occhi di tutto il mondo. Così In guerra per amore può far riflettere su un periodo della nostra storia passata, più che mai attuale per i suoi effeti. Il tutto, sempre col sorriso, e spesso qualche fragorosa risata.
In guerra per amore, di Pif, con Pif, Andrea Di Stefano, Sergio Vespertino, Maurizio Bologna, Miriam Leone, Maurizio Marchetti