Pinter in una gabbia di matti

In Teatro

Una caccia al padre nella “Serra”, testo giovanile dell’autore inglese con qualche happening alla prima dello spettacolo diretto da Marco Plini con Mauro Malinverno

È noto che quando la prova generale va bene gli artisti cominciano a tremare di paura per la prima. Affidandoci a queste eterne leggi fisiche del teatro, è assai probabile che l’ultima filata de La serra di Pinter (in scena al Teatro Franco Parenti fino al primo Febbraio) sia andata benissimo, visti gli incidenti del debutto! Mauro Malinverno purtroppo si è inceppato dopo pochi minuti dall’inizio, e anche se in qualche modo ne è venuto fuori l’equilibrio della prima parte ne ha molto risentito: capita anche ai migliori. Ma la messinscena di Marco Plini si è potuta apprezzare lo stesso, e le prossime repliche non deluderanno certamente.

Malinverno è qui Roote, nevrotico direttore di una misteriosa struttura ospedaliera – sicuramente un manicomio – in cui durante il giorno di Natale viene istituita una “caccia al padre” di un bambino partorito da una paziente del centro. Finiranno tutti massacrati dagli invisibili detenuti ribelli.

La serra non è la migliore opera di Pinter: lo stesso autore se ne era accorto, fino a un improvviso cambio di opinione vent’anni dopo averla scritta. La critica sociale è troppo evidente, così come il gioco umoristico è molto più marcato e pesante del solito. Negli altri suoi lavori Pinter riesce a preparare a poco a poco la vittimizzazione dei personaggi, come nell’abbraccio letale di un “pitone” (non a caso citato in una battuta del dramma), il tutto in una sottile atmosfera ironica davvero irresistibile.

Le scelte registiche di Plini non hanno affatto nascosto questo difetto del testo. Anzi, Malinverno viene lasciato completamente libero di scatenarsi in palpitanti sfuriate fin da subito: divertentissimo sulle prime, ma alla lunga il risultato è stucchevole. Bene infatti che Plini abbia lavorato con Luca Mammoli – qui Gibbs – per costruire un inscalfibile aplomb che restituisce misura ai dialoghi.

La serra secondo Plini è l’ufficio di Roote, una stanza di vetro semi-insonorizzata innalzata in mezzo al palcoscenico, simile alla scenografia che si intravede alla fine dell’ultima pellicola di Assayas, Sils Maria. Dentro questa gabbia il povero Roote viene tormentato da tutti per la sua smemoratezza e inettitudine, una fragilità che viene portata all’esasperazione fino alla simbolica caduta dall’alto di tutti i fogli e documenti che lui, sempre passivo, non è mai stato in grado di dominare – forse una citazione di una scena analoga del From the house of the dead di Chéreau.

Insomma tante le buone idee ma alcuni errori, tra cui annovererei il personaggio del ministro en travesti, con un costume che potrebbe indossare Patty Pravo in un suo concerto.

La serra di Harold Pinter, regia di Marco Plini, al Teatro Franco Parenti fino al 1 febbraio.

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